ROMA – Negli anni Ottanta, Jung Joon-kyeong, diciassettenne genio incompreso della matematica, vive in un piccolo villaggio di montagna nella Corea del Sud dove i treni non si fermano mai. Ci sono i binari ma manca una stazione. Il suo sogno? Quello di fornire agli abitanti del villaggio una via di collegamento con il mondo. Per farcela è pronto a tutto. Anche a scrivere dozzine di lettere (ben cinquantaquattro!) al Presidente. Da qui parte il viaggio di Miracle, ppera seconda di Lee Jang-Hoon del 2021 che – a tre anni di distanza dallo struggente melò Be With You che ne segnò il debutto – ritorna in cabina di regia per raccontare una favola moderna sul coraggio di saper rischiare un miracolo.

«Credo che sia un miracolo guardare le persone che realizzano un sogno. E ho pensato che forse potevamo ricreare quel miracolo», ha detto Lee al riguardo. Ma questa è soprattutto una storia vera, perché Miracle – arrivato nei cinema italiani ora grazie alla sempre attenta Academy Two che ne ha curato la distribuzione – è ispirato a fatti realmente accaduti: la creazione della Yangwon Station a Bonghwa-gun, Gyeongsangbuk-do nell’aprile del 1988. Conosciuta come la più piccola stazione di treni privata dell’intera Corea, qui ricostruita nei minimi dettagli dalla Blossom Pictures che ne ha curato la produzione: «All’inizio della lavorazione abbiamo preso in considerazione l’idea di girare a Bonghwa, ma le condizioni intorno a Yangwon non erano convenienti per certi aspetti, a causa delle numerose attrezzature e del personale».

Per un Miracle che, dopo aver raccolto consensi in patria – distribuito in sala dalla Lotte Entertainment il 15 settembre 2021, ha incassato oltre 5 milioni e mezzo di dollari – e nel circuito festivaliero (vincitore del Premio del pubblico al Far East Film Festival 2022), è pronto ad entrare nel cuore degli spettatori italiani, specie per la capacità di scrittura di Lee che nel mescolare elementi umoristico-brillanti a un tono dolcemente nostalgico sullo sfondo di un conflitto scenico semplice ma efficace, dà vita a un melò vecchia scuola fatto di sogni impossibili, (tante) lacrime e prime volte come solo nelle migliori k-romance del primo decennio degli anni duemila. Prima, insomma, di quando l’industria cinematografica coreana (Parasite, Decision to Leave, Broker) venisse contaminata dai gusti e dal ritmo di racconto occidentale.

Un ritorno al passato, quello di Miracle, ma non solo in termini stilistici, perché vediamo Lee stimolare il senso nostalgico catturando la sensibilità degli anni Ottanta attraverso – oltre che oggetti scenici evocativi come telefoni pubblici e cassette postali del tempo, VHS, polaroid, mappe stradali, uniformi scolastiche dell’epoca, perfino Dreams Are My Reality di Richard Sanderson nella colonna sonora – immagini pulite, dalla fotografia ovattata, vivaci, in armonia con la natura di un villaggio rurale incontaminato, dalla scenografia color pastello. In altri termini? Un film piccolo e delicato, senza tempo eppure fuori dal tempo, a conferma che il cinema asiatico è una certezza dei nostri giorni cinematografici, anche nelle produzioni (solo) apparentemente meno forti.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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