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Lynch/Oz | Victor Fleming, Il Mago di Oz e un viaggio nella mente di David Lynch

Il Mago di Oz e il cinema, ossessioni e visioni: ma com’è il documentario di Alexandre O. Philippe?

Lynch/Oz
Dentro la testa di David Lynch con Lynch/Oz? Più o meno.

ROMA – I temi e le immagini de Il Mago di Oz di Victor Fleming continuano a perseguitare l’arte e la filmografia di David Lynch fin dal suo primo cortometraggio. Probabilmente, nessun regista ha tratto ispirazione in modo così coerente e consapevole da un’unica opera. Lynch è quindi intrappolato nella terra di Oz? Attraverso sei prospettive diverse, sei capitoli accompagnati nel loro svolgimento da guide d’eccezione come i cineasti John Waters, Rodney Ascher, Karyn Kusama e David Lowery, e la critica Amy Nicholson, Lynch/Oz esplora l’ossessione di uno dei registi più iconici della storia del cinema guidandoci in un viaggio nell’immaginario americano tra i suoi sogni e le sue paure ricorrenti e nella lettura del simbolismo presente in tutte le sue opere tra accostamenti illuminanti, liberi e creativi.

Lynch/Oz arriverà in sala come evento speciale nei giorni 15-16-17 maggio grazie a Wanted Cinema
Lynch/Oz e le molte anime del regista.

Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, candidato come Miglior Documentario al London Film Festival, vincitore del Karlovy Vary International Film Festival e del Tribeca Film Festival 2022, Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe arriva ora nei cinema per tre giorni, distribuito da Wanted Cinema. Al centro del racconto, ovviamente Mister David Lynch, vero e proprio personaggio di culto la cui visione attraversa il mondo dell’arte a tutto tondo: dalla pittura alla musica, sino al cinema e alla televisione. Ecco, la sua visione. Più che Lynch in sé, è proprio la sua visione fatta di suggestioni e decostruzioni tra Velluto Blu e Twin Peaks il vero protagonista dell’audace documentario/trattato filmico per immagini.

Parte della locandina di Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe
Parte della locandina di Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe

Un percorso filmico le cui tappe, da I segreti di Twin Peaks a Inland Empire passando per Cuore selvaggio, Strade perdute e Mulholland Drive, hanno visto Lynch asciugare sempre più la tipicità e i topos del cinema noir tra piccolo e grande schermo, contaminandoli di intuizioni spiazzanti tra il grottesco, l’horror e il fantastico, sino a spezzarne del tutto l’abituale inerzia dello sviluppo lineare e lanciare, le narrazioni, nella terra di mezzo onirica tra il sogno e l’incubo. Un cinema, quello di Lynch, fatto più di sensazioni ed esperienze che non di coerenza e comprensione, e proprio per questo artisticamente unico, irripetibile, senza tempo e in qualche modo, vitale: «Non credo che la gente accetti il fatto che la vita non ha senso. La vita è complicata e anche i film, a modo loro, dovrebbero esserlo e questo penso che metta le persone terribilmente a disagio».

«Ogni film realizzato, a modo suo, è un tentativo di rifare Il Mago di Oz»
«Ogni film realizzato, a modo suo, è un tentativo di rifare Il Mago di Oz»

Su sua diretta ammissione, quasi andando a scavare nel Lynch-pensiero infatti emergono verità: «Non mi piace parlare di significati e cose. È meglio non sapere molto su cosa significano le cose o come potrebbero essere interpretate. Perdere il mistero significa perdere il potenziale per un’esperienza vasta e infinita e il significato è una cosa molto personale. Il mio può essere diverso da quello di qualcun altro. I miei film significano cose diverse per persone diverse, alcuni però significano più o meno le stesse cose per un gran numero di persone». E qui entra in gioco proprio Philippe con il suo Lynch/Oz e l’assunto scherzoso, un’iperbole, di un altro, grandissimo maestro di cinema, Joel Coen: «Ogni film realizzato, a modo suo, è un tentativo di rifare Il Mago di Oz. Il motivo? Presto detto: è il primo fantasy americano realizzato per bambini.

Al centro della narrazione di Lynch/Oz l'influenza de Il Mago di Oz nel cinema di David Lynch
Al centro della narrazione di Lynch/Oz l’influenza de Il Mago di Oz nel cinema di David Lynch

La quintessenza della fiaba americana, una suggestione per un’intera generazione di cineasti cresciuta nei decenni successivi Il Mago di Oz, che ha avuto la fortuna di innamorarsi del cinema proprio grazie al suo magico benvenuto, influenzandoli inevitabilmente. A sostegno di questa tesi viene in soccorso una ricerca del 2018 compiuta da due informatici dell’Università degli Studi di Torino che ha impostato un algoritmo che andasse a scandagliare i titoli più citati tra le oltre 47.000 voci contenute nella banca dati dell’Internet Movie Database (Imdb.com). Il risultato? Il Mago di Oz è «Il film più influente di tutti i tempi», poi Star Wars, Psycho, King Kong e 2001: Odissea Nello Spazio. Ironicamente – e forse non per caso – due dei film in classifica sono stati oggetto di analisi per documentario da parte di Philippe e molto prima di Lynch/Oz.

«Nessun posto è bello come casa mia!»
«Nessun posto è bello come casa mia!»

In tal senso, è necessaria una piccola premessa. Forse non dirà molto ai più, ma il nome di Alexandre O. Philippe è uno dei più ricercati e raffinati nel campo documentaristico. Negli ultimi dodici anni – non ultimo proprio Lynch/Oz – si è saputo imporre come uno dei più interessanti autori postmoderni, passato gradualmente dall’analisi di film come fenomeni sociali, di costume, come The People vs. George Lucas (sul rapporto tra il demiurgo della saga di Star Wars e la sua pirotecnica fan-base di warsies) e Doc of the Dead (sull’ascesa degli zombie movies da George A. Romero a The Walking Dead), ad analisi più approfondite e variopinte su genesi e realizzazione di una particolare opera: 78/52 (Psycho e nello specifico la scena della doccia), Memory: The Origins of Alien (Alien) e Nella mente dell’Esorcista (L’Esorcista).

Il mantra di David Lynch: «Non credo che la gente accetti il fatto che la vita non ha senso. La vita è complicata e anche i film, a modo loro, dovrebbero esserlo»
Il mantra di David Lynch: «Non credo che la gente accetti il fatto che la vita non ha senso»

Infine proprio Lynch/Oz, non una decostruzione esegetica, ma un concatenamento di riflessioni e interpretazioni personali più o meno fantasiose in un susseguirsi di rivelazioni, suggestioni, citazioni e rimandi. Tra le intuizioni tra le righe tra Velluto Blu e Mulholland Drive e i ben più espliciti Cuore selvaggio e Twin Peaks per cui, al tempo della presentazione della terza stagione, rivelò come: «Io non so cos’è che mi attrae de Il Mago di Oz ma credo che la chiave sia la ricerca della strada per tornare a casa» – così da fornire un indizio circa l’inerzia filmica del ritorno a casa di Dale Cooper dagli abissi della Loggia Nera – Philippe prova a scardinare la comprensione del simbolismo lynchiano in maniera inedita, nuova, certamente interessante.

Le Scarpette di Dorothy de Il Mago di Oz in Cuore selvaggio
Le Scarpette di Dorothy de Il Mago di Oz in Cuore selvaggio

Per certi versi però – ed è curioso dirlo data la portata magnificente del progetto – la ratio alla base di Lynch/Oz potrebbe intendersi come un tradimento della poetica filmica esperienziale di Lynch. Perché se è vero che per Lynch i film non dovrebbero avere un senso compiuto perché la vita, in fin dei conti, non ce l’ha, perché provare quindi a sviscerarne le ragioni quando andrebbero semplicemente accolte? Uno splendido tradimento però, che nel non aggiungere né togliere nulla al grande mistero del cinema lynchiano, giunge a noi come un’incredibile esperienza cinematografica di conoscenza ed espansione di confini da vedere a ogni costo.

  • LONGFORM | Mulholland Drive, Lynch e un’enigma capolavoro
  • DOCCORN | 78/52, Psyco, Hitchcock e il mondo dietro una doccia
  • LONGFORM | Strade perdute, il viaggio nella notte lynchiana

Qui sotto potete gustare un piccolo assaggio del documentario: 

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