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La terra dei figli | Gipi, la fine del mondo e la memoria secondo Claudio Cupellini

Dalla graphic novel di Gipi un film ambizioso ambientato in una società collassata.

la terra dei figli

ROMA – «Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro venne scritto più». E proprio dalla fine della civiltà parte La terra dei figli, graphic novel del 2016 firmata da Gipi che oggi è diventata un film diretto da Claudio Cupellini. Dopo l’esperienza di Gomorra – La serie, il regista è tornato al grande schermo a sei anni di distanza da Alaska. E lo fa con una storia di formazione – presentata in anteprima al Taormina Film Festival – immersa in un contesto post apocalittico in cui la società è collassata per motivi che rimangono volutamente oscuri e in cui il mondo che conosciamo ha cessato di esistere. Protagonista un ragazzino di quattordici anni (Leon de la Vallée, qui al suo riuscito esordio cinematografico ma già affermato rapper con lo pseudonimo di Leon Faun), tra i pochi superstiti rimasti insieme al padre (Paolo Pierobon).

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Paolo Pierobon e Leon de La Vallée in una scena de la terra dei figli

I due vivono insieme su una palafitta in riva a un lago e lottano per sopravvivere in un mondo di veleni e pericoli. Non c’è amore, non c’è tenerezza, non c’è consolazione per quel figlio che non sa nulla del mondo di prima, delle emozioni o, semplicemente, che i cani oggi ammazzati per poter mangiare un tempo dormivano sul tappeto. Una scelta del padre per permettere a quel figlio di sopravvivere in una dimensione atroce. Ma quando l’uomo muore, il ragazzo si ritrova tra le mani un diario che il padre scriveva tutte le sere. Incapace di decifrare quei simboli a lui incomprensibili decide di partire alla ricerca di qualcuno che lo possa leggere per lui.

Una scena de La terra dei figli

Claudio Cupellini realizza un film ambizioso in cui prende la graphic novel di Gipi e, con i co-sceneggiatori Filippo Gravino e Guido Iuculano, la fa sua senza tradire il nucleo narrativo dell’opera originale. Ammirevole il lavoro fatto dal costumista Mariano Tufano e dallo scenografo Daniele Fabretti per immaginare una realtà post apocalittica avvolta dai colori della fotografia di Gergely Poharnok che esaltano le atmosfere plumbee del delta del Po in cui i personaggi de La terra dei figli si muovono. Una realtà in cui i rumori diventano co-protagonisti del racconto, dallo scorrere dell’acqua ai passi nell’erba, e catturati dal suono in presa diretta di Angelo Bonanni.

la terra dei figli
Valeria Golino e Leon de La Vallée in una scena de La terra dei figli

Quello de La terra dei figli è un viaggio fisico che diventa metafora di crescita e consapevolezza. Se in Anna, serie diretta da Niccolò Ammaniti con protagonista un’adolescente calata in un contesto simile, il diario delle cose importanti diventava la bussola emotiva e pratica con cui muoversi nel mondo, nel film di Cupellini quel diario è l’elemento che spinge il ragazzo alla scoperta di una memoria a lungo negata. E proprio i ricordi e la memoria sono il cuore pulsante di questo film. Perché se è vero come dice il personaggio interpretato da Valerio Mastandrea che «i ricordi portano paura», è vero anche che quelle parole impresse su un foglio servono a rievocare ciò che non si vuole dimenticare.

Valerio Mastandrea in una scena del film

La memoria diventa così una sorta di potere che permette, anche dopo la fine della società, di mantenere vivo il ricordo e quindi ciò che siamo stati, siamo e saremo. Il cammino verso l’ignoto del protagonista, costellato di incontri tra i più disparati, diventa un viaggio alla scoperta del padre, di un passato mai nemmeno immaginato e di un futuro racchiuso in un abbraccio grazie a cui dare vita a nuovi ricordi. Perché, anche alla fine del mondo, l’amore può rendere invincibili.

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Qui potete vedere la nostra video intervista a Claudio Cupellini:

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