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Gli Spostati | John Huston, l’ultimo saluto di Marilyn Monroe e la fine di un’epoca

Gable, Clift, Monroe, ma anche Miller, Huston e Wallach: analisi di un capolavoro

Gli Spostati
Clift, Monroe e Gable sul set de Gli Spostati.

ROMA – Romanticamente ribelle, nostalgico, problematico. L’1 aprile 1961 arrivò nelle sale italiane Gli spostati di John Huston. Opera eccellente che – pur covando tra le righe della sua narrazione le gemme del cambiamento e delle forze trasformiste del suo tempo – deve larga parte del suo retaggio all’aura funerea di cui l’inerzia degli eventi ne ha contraddistinto la lavorazione e poi la successiva distribuzione. È infatti, contemporaneamente, l’ultimo film di Clark Gable e di Marilyn Monroe nonché uno degli ultimi di Montgomery Clift. L’ex Rhett Butler di Via col vento fu stroncato infatti da un infarto il 16 novembre 1960, appena dodici giorni dopo la fine delle riprese. Il motivo? Sembrerebbe che Gable fosse rimasto sconvolto dalla prematura dipartita del suo amico fraterno Ward Bond, ma non solo.

Gli spostati
Montgomery Clift, Marilyn Monroe e Clark Gable in una scena de Gli spostati.

Perché Gable – che dopo de Gli spostati avrebbe dovuto iniziare la lavorazione della commedia avventurosa Hatari! di Howard Hawks (lo sostituirà John Wayne) – portò il suo corpo già provato dall’alcolismo e da una dieta trentennale di tre pacchetti di sigarette al giorno al limite dopo una dieta drastica in vista delle riprese. Alla maniera di Spencer Tracy con Indovina chi viene a cena nemmeno Gable ebbe mai la fortuna di rivedersi. Una performance strepitosa quella nel ruolo di Gay Langland, tra le migliori della decade e della sua carriera, resa ancora più grande da un retaggio mitologico. Leggenda narra che Gable, nonostante la condizione fisica precaria, avesse eseguito da sé tutti gli stunt: compreso quello prodigiosamente romantico del climax. In realtà le cose andarono diversamente. Nei primi piani era lui, ma nei campi lunghi c’era sempre una controfigura che lo sostituiva.

I titoli di testa de Gli Spostati
I titoli di testa de Gli Spostati

In ogni caso l’attore a fine lavorazione rimase molto legato a Gli spostati (che tra l’altro trovate in streaming in flat su Prime Video) definendolo come un’esperienza indimenticabile: «Il miglior film che ho fatto ed è l’unica volta che ho potuto recitare…». Riguardo invece il rapporto con la star Marilyn  Monroe, Gable disse al riguardo e senza usare mezzi termini: «Lavorare con lei mi ha quasi provocato un infarto. Non sono mai stato più felice che un film finisse». Cosa che effettivamente – ironia della sorte – poi accadde. È opinione comune come le frizioni tra Gable e Monroe inficiarono sulla sua già precarissima condizione fisica, ma in generale nemmeno con il compagno di sventure Clift e lo sceneggiatore/marito della Monroe, Arthur Miller, le cose andarono per il meglio: «Il titolo riassume questo pasticcio. Non sanno cosa diavolo stanno facendo. Non siamo nemmeno nella stessa stanza…».

Clark Gable è Guy Langland in una scena de Gli Spostati
Clark Gable è Guy Langland

Parole emblematiche (ed allegoriche) ma che, ironicamente – e saggiamente aggiungiamo noi – non corrispondevano all’immagine che Gable diede di sé sul set de Gli spostati, come per Miller che etichettò Gable così: «L’uomo che non sapeva odiare». Il motivo di tanto astio è da ricondursi ai ritardi cronici della Monroe. L’orario d’inizio lavorazione era per le 9:30/9:45. Questo per via del contratto di Gable che prevedeva un impegno dalle 9 alle 17. La Monroe si presentava sul set puntualmente per le 11:30, mai prima di quell’ora. Esausti di tutto questo, l’inizio delle riprese slittò per tutti alle 11:30. In realtà però, dietro a quelli che potevano sembrare comuni capricci da star, c’erano le difficoltà di un matrimonio agli sgoccioli – quello tra Miller e Monroe – aggravato dalla costante presenza del marito tossico sul set e dall’uso smodato di alcolici e psicofarmaci.

Gli Spostati fu l'ultimo film per Gable, morì nel pieno della post-produzione
Gli Spostati fu l’ultimo film per Gable, morì nel pieno della post-produzione

Entrando nel merito, per Huston era abbastanza chiaro come la Monroe fosse già condannata, o almeno così disse in un’intervista rilasciata poi in occasione del ventennale del film: «C’erano prove davanti a me, quasi ogni giorno. Lei era incapace di salvare sé stessa o di essere salvata da qualcun altro e a volte questo ha influito sul suo lavoro. Abbiamo dovuto interrompere il film mentre era in ospedale, per due settimane…». Nell’agosto del 1960 la lavorazione de Gli spostati subì infatti una dolorosa battuta d’arresto. La Monroe fu ricoverata in un ospedale per uno specifico trattamento anti-depressivo. Il risultato fu che, nei primi piani successivi alle dimissioni, Huston optò per una messa fuoco morbida al fine di tamponare, per quanto possibile, la criticità sul suo volto, ma in ogni caso fu tutto fin troppo complicato.

Marilyn Monroe è Roslyn Taber in una scena de Gli Spostati
Marilyn Monroe è Roslyn Taber

A volte sul set la Monroe non si presentava affatto e spesso e volentieri riusciva a memorizzare le battute soltanto la notte prima delle riprese. Qualcosa che, al di là delle evidenti difficoltà psicofisiche, era da ricondursi ad un rifiuto patologico verso il suo personaggio. Quella Roslyn Taber su cui Miller delineò la caratterizzazione su di lei, o perlomeno, su l’opinione che aveva di lei, e per questo la Monroe lo odiò più di quanto già non lo facesse. Non solo non sopportava l’idea di dover interpretare, ancora una volta, la stereotipata bionda sciocca – ruolo/etichetta da cui cercò di sfuggire lungo tutta la sua breve carriera – ma quel che non riusciva ad accettare è che proprio il suo (quasi ex) marito Miller la vedesse così! Il risultato? Una performance strabiliante quella ne Gli spostati, di un’intensità tale da risultare inedita fino a quel punto.

In Italia Gli Spostati fu distribuito l'1 aprile 1961
In Italia Gli Spostati fu distribuito l’1 aprile 1961

Riuscì infatti a far sua la carica valoriale da bionda sciocca per rimescolarne l’inerzia, finendo con il dar voce e forma al cambiamento della sua epoca – e probabilmente anche in via catartica per sé stessa – su cui Huston si espresse usando parole dolcissime nei suoi riguardi: «È andata dritta sulla sua esperienza personale. Si è chinata e ha tirato fuori da sé qualcosa di unico e straordinario. Non aveva tecniche specifiche, era tutta verità: era solo Marilyn, ma era Marilyn plus. Ha scavato trovando cose su di lei e sul suo essere donna». Il canto del cigno insomma, specie perché circa un anno dalla fine della lavorazione de Gli spostati – il 4 agosto 1962 precisamente – la Monroe morì in circostanze tutt’ora poco chiare nel bel mezzo della lavorazione dell’incompiuto Something’s Got To Give di George Cukor.

La Monroe stava vivendo il dramma della separazione da Arthur Miller, qui nelle vesti di sceneggiatore
La Monroe stava vivendo il dramma della separazione da Arthur Miller, qui sceneggiatore

Non ultimo Clift con cui Huston, a detta del biografo Robert LaGuardia, ebbe un rapporto conflittuale e manipolatorio. Sebbene nutrisse per lui dei sentimenti paternalistici dopo averlo diretto nel ruolo di Perce Howland, simil-cowboy benevolo ma confuso de Gli spostati. Le cose però presero una piega insolita nel successivo Freud – Passioni segrete dove Clift prestò volto e corpo nel dar forma al padre della psicanalisi. Dopo un confronto con Susannah York – che in Freud fu scritturata come Cecily Koertner – sembrerebbe che Huston iniziò a pungolarlo chiedendogli ripetutamente del concetto freudiano di repressione, alludendo ovviamente alla sua omosessualità che per quanto mai ufficialmente dichiarata era nota a tutti. A detta di LaGuardia però: «Huston voleva bene a Clift, per davvero, ma inconsciamente non riusciva ad accettare il suo essere omosessuale».

Miller scrisse il ruolo di Roslyn come fosse l'ennesima stereotipata bionda sciocca: la Monroe lo ribaltò rendendolo memorabile
Miller scrisse il ruolo di Roslyn come l’ennesima stereotipata bionda: la Monroe lo ribaltò rendendolo memorabile

Anziché la linea del dialogo scelse così la via della codardia e dello scherno, ma nulla scompose Clift che dal canto suo affrontò Huston con impensabile e lodevole signorilità. Una vita difficile quella di Montgomery Clift, protagonista di un’ascesa strepitosa fino al 1956, anno in cui un incidente stradale gravissimo ne mutò i lineamenti fino a quel punto di porcellana. Questo, complice la necessità di dover celare la propria omosessualità al grande pubblico, lo spinse su di una pessima china aggravata dall’alcolismo e da una depressione cronica, o di quello che Robert Lewis, fondatore dell’Actors Studio, definì come: «Il più lungo suicidio della storia del cinema». Si spense il 23 luglio 1966 per un infarto, ma in quel decennio lasciato a metà Clift seppe tirar fuori performance da sogno e non solo ne Gli spostati e Freud.

Montgomery Clift è Perce Howland in una scena de Gli Spostati
Montgomery Clift è Perce Howland

Furono gli anni de Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph L. Mankiewicz del 1959, dell’immortale Vincitori e vinti di Stanley Kramer del 1961 con cui ottenne la quarta nomination agli Oscar, nonché del modesto L’affare Goshenko di Raoul Lévy del 1966. Ecco, fu proprio quell’aura magnetica di stelle in cerca di riscatto e redenzione e quel sapore da ultima volta per Gable e Monroe – nonché di penultima per Clift – a scatenare una sorta di sovra-arricchimento di senso e valoriale nella narrazione de Gli spostati o in altri termini: il loro accidentato cammino di vita finì con il cucirsi addosso agli archi narrativi nati dalla penna di Miller. Come quel Gable raffinato ma malconcio, segnato da una vita di eccessi, in totale mimesi recitativa nei panni di quel Gay cowboy-mancato/ladro gentiluomo, o Clift e il suo Perce perduto e senza meta.

Nello stesso anno de Gli Spostati, Clift prese parte a Vincitori e Vinti, con cui ottenne la sua quarta (e ultima) nomination agli Oscar
Nello stesso anno Clift girò Vincitori e Vinti, con cui ottenne la quarta (e ultima) nomination agli Oscar

Non ultima proprio la Monroe e quella cacofonia di Marilyn & Roslyn, custode dell’insita tossicità del coniuge autore Miller, in un simbolismo malamente celato, disegnato più nei contorni di un’impropria mimesi alla figura della diva-e-donna paragonata al cavallo selvaggio impossibile da imbrigliare al centro del climax. Uomini rotti quelli de Gli spostati. Sperduti, senza una specifica bussola vitale, in un presente in continuo e totale mutamento di costumi e di valori. Un’evoluzione, da principio, a cui gli agenti scenici di Huston si oppongono rompendo gli schemi delle proprie dimensioni relazionali e del presente tra istanze di divorzio, matrimoni falliti e sbronze malinconiche al tramonto per gettarsi nel passato un un giocare a fare i cowboy che cova al suo interno un nostalgico e irreprensibile malessere di vivere così da cercare, in un mondo che non li appartiene, perché fuori tempo, un posto che non li può accogliere, perché non esiste più.

L'ultimo rodeo per Gli Spostati di John Huston
L’ultimo rodeo per Gli Spostati di John Huston

In questo limbo esistenziale, l’atto di ribellione alla base dell’agire degli uomini rotti de Gli spostati diventa così indissolubilmente ontologico, basilare, vitale, essenziale per ricongiungersi con un mondo folle e scriteriato – ben più di loro – provandoci tra risolutive prese di posizioni urlanti a vivere una vita per cui non si è tagliati (perché in fondo non se ne hanno altre) nell’accettazione dei propri limiti nelle zone grigie del bene e del male grazie al potere dell’Amore. Un’opera, in tal senso, scarna quella di Huston, che vive dell’apparente insolubilità di due anime filmiche opposte. Quella poetica dei guizzi romantici e quella invece pragmatica, follemente lucida, dei sogni impossibili degli spostati che danno il titolo al film. Un contrasto di per sé riscontrabile anche in termini analitico-strutturali nella stridente opposizione tra la solidità registica dal ritmo netto di Huston e l’inutilmente densa e zuccherosa componente dialogica di Miller.

Gli Spostati: la fine di un'epoca raccontata attraverso gli occhi di uomini rotti, in cerca di riscatto e di un senso per vivere
Gli Spostati: la fine di un’epoca raccontata attraverso gli occhi di uomini rotti

Un’amalgama dicotomicamente impossibile che, nonostante un crepuscolo adombrante, trova infine risoluzione proprio nel momento del climax: il ritorno a casa di Roslyn. Un riabbracciare la civiltà che è, al contempo, riappropriazione del proprio posto nel mondo e accettazione necessaria – dentro-e-fuori lo schermo – delle folli mutevolezze del presente, con cui Huston crea la perfetta sincronia tra le due anime filmiche così da consegnare la sua stratificata opera dalla ratio a metà tra il testamento spirituale e una coraggiosa lettura della propria epoca di riferimento, all’eterno scorrere lungo le rive del tempo e dell’immortalità artistica. «Non si arrabbi, volevo dire che se l’amava poteva insegnarle qualunque cosa. Perché tutti stiamo morendo, ogni minuto ci avviciniamo alla morte, eppure non ci insegniamo a vicenda quello che sappiamo…».

  • LONGFORM | Storie lunghe di cinema secondo Hot Corn
  • STORIE | Something’s Got To Give, il film mancato di Marilyn
  • SPORTCORN | Fuga per la Vittoria, John Huston e Pelé 

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

 

 

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