Dopo Il Ragazzo Invisibile – Seconda Generazione, Gabriele Salvatores adesso è sul set con Se ti abbraccio non aver paura, nuovo film liberamente tratto dal romanzo di Fulvio Ervas. Questa volta però lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare di altro, ovvero della nuova sfida che lo attende. Il regista è infatti il nuovo direttore artistico del Milano Film Festival – in co-direzione con Alessandro Beretta – manifestazione prodotta da esterni e giunta alla sua XXIII edizione, in programma a Milano dal 28 settembre al 7 ottobre, di cui proprio il nostro Hot Corn sarà Main Media Partner con un Hot Corn Social Club in piazza XXV Aprile (vi aspettiamo ogni giorno alle 18).
LA MIA MILANO «Che cosa mi ha spinto a diventare direttore artistico del Milano Film Festival? Il ruolo, sì, il ruolo. Perché penso che dopo tanti film fatti e dopo tanta strada percorsa in questi anni, si possa e si debba anche iniziare a pensare alla città dove sono cresciuto e che mi ha dato la possibilità di fare questo lavoro. Quindi alla base di tutto c’è stata la voglia di dare un contributo non solo al cinema, ma anche alla città di Milano e ai suoi cittadini…».
CINEMA CITTADINO «Milano, dalla fine degli anni Sessanta, per almeno vent’anni è stata il centro della creatività italiana e della ricerca. Oltre ad aver dato i natali al teatro pubblico e al movimento delle cooperative teatrali, è stata anche la prima città ad aver avuto un teatro stabile in Italia. Oggi è un centro di riferimento importante per il mondo del design, della moda, della musica, dell’editoria. Una città con una quantità di attività che si possono mettere in correlazione al cinema che mi fa pensare possa recepire un discorso nuovo come quello che cerca di fare il Milano Film Festival».
IL CONFRONTO «Il tentativo del Festival, specialmente per i prossimi anni, è quello di diventare un momento di aggregazione di tutte le realtà che a Milano si occupano di cinema. Il vero problema – che è anche un problema generale della cultura italiana – è che si fa molta fatica a fare sistema, a lavorare insieme. Ognuno fa la propria battaglia personale e separata. L’ambizione del Milano Film Festival? Diventare un momento di confronto per tutte le realtà che operano in città, senza snaturarne gli obiettivi ma chiedendo di mettere a disposizione il proprio know how per fare un discorso sul cinema più ampio».
CROSSMEDIALITÀ «Insieme ad Alessandro Beretta, co-direttore del MFF, i selezionatori e a tutte le persone, molto brave, che vi collaborano, abbiamo cercato di dare un’impronta crossmediale a quest’edizione. Raiz, ad esempio, è il frontman degli Almamegretta ma ha anche fatto un film, Ammore e Malavita, che ha vinto molti David di Donatello. Gli chiediamo di venire a presentarlo e di esibirsi dal vivo, quindi di portare anche la sua dimensione musicale a confronto con il cinema».
L’OBIETTIVO «Nel futuro potremmo fare lo stesso con le arti figurative. Ci sono molti registi che dipingono, fanno fotografie o suonano e potrebbero venire a presentare l’altra parte delle loro attività. Il tentativo è quello di far capire, soprattutto a un pubblico giovane, che il cinema non è solamente un’attività di un’ora e quaranta che si può guardare sul telefonino ma che coinvolge fattori e arti diversi. Come ha detto una volta Bernardo Bertolucci: “Il cinema è l’arte di tutte le arti”. Ed è questo quello che vorremmo cercare di fare».
IL SOUND «Se il Milano Film Festival fosse un genere musicale? Credo sarebbe una specie di indie rock molto indipendente e progressivo. Per citare un autore che potrebbe assomigliare a quest’idea, direi Bon Iver che fa riferimenti alla musica country e folk, ma li reinventa con l’elettronica. E il tentativo del Milano Film Festival è proprio quello di svecchiare certe categorie».
MARRAKECH EXPRESS «Credo che il film sia una di quelle cose che nascono in un momento particolare e coinvolgono emozioni, desideri e sogni di tutti. Una generazione di trenta/quarantenni si è riconosciuta in quei personaggi. È un viaggio, quello dall’Italia al Marocco, alla Grecia o all’India, che la mia di generazione ha fatto tante volte. Inoltre, credo che il successo del film sia dovuto anche ad un gruppo di attori particolarmente efficaci. Un’opera divertente ma che ha anche dei lati di malinconia, riflessione e poesia ed è il cinema che mi ha nutrito, quello americano e indipendente degli Anni Settanta. E con il nuovo film che sto preparando, in qualche modo, torno da adulto ai temi che avevo già affrontato in Marrakech Express».
IERI, OGGI E DOMANI? «Quando le persone mi chiedono come mai non giro Marrakech Express 2 è perché il momento che stiamo vivendo non ha spinta emotiva, non c’è la voglia di utopia e libertà che c’era in quel momento. Ve li immaginate, oggi, quattro amici che si rivedono dopo dieci anni per mettere insieme dei soldi per liberare uno di loro in prigione in Marocco? Ognuno si farebbe i fatti suoi. In quel momento Marrakech Express, Turné e Mediterraneo raccolsero una serie di riflessioni ma anche di delusioni della mia generazione e di quella successiva. E Mediterraneo è un po’ questo, non un fuggire dalla realtà, perché sta tutto nelle parole finali del personaggio di Diego Abatantuono: “Avete vinto ma non consideratemi vostro complice”».
Sul sito del Milano Film Festival potete trovare il programma della XXIII edizione, mentre nella nostra sezione trovate tutto quello che non dovete perdere: Milano Film Festival.
Su CHILI trovate invece la filmografia di Gabriele Salvatores.
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