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Gábor Fabricius: «Erasing Frank, la psichiatria politica e la mia storia di resistenza»

Il regista del film in Concorso alla SIC 36 racconta il suo film tra totalitarismo e libertà

Erasing Frank
Una scena di Erasing Frank, in Concorso alla Sic 36

VENEZIA – 1983, dietro la cortina di ferro dell’Europa orientale a Budapest. Frank è il carismatico cantante di un gruppo punk bandito che dà voce alla sua generazione contro un regime totalitario. Rinchiuso dalla polizia in un ospedale psichiatrico nel tentativo di farlo tacere, Frank sacrificherà tutto per resistere. Gábor Fabricius, classe 1975, dopo essersi laureato al Central Saint-Martins College di Londra e aver pubblicato due romanzi e aver diretto diversi corti, debutta al lungometraggio con Erasing Frank, uno dei titoli presentati in Concorso alla SIC 36.

Erasing Frank è una storia di resistenza. Cosa significa per te questa parola?

Identità. Punto di vista, coscienza, atteggiamento, scelta, libertà, dove ognuno di noi può celebrare la propria identità. La cosiddetta “colorful society” è una forza suprema, in cui i diversi punti di vista sono ugualmente validi, a volte in qualche modo in competizione per la comprensione. Per preservare la nostra identità dobbiamo compiere costantemente un atto equilibrato di resistenza e cooperazione,. È così che disegnamo le nostre identità, soprattutto nei momenti in cui la nostra unicità e differenza viene messa in discussione, o addirittura bandita. Dobbiamo essere tutti orgogliosi di ciò che siamo e resistere ogni volta che qualcuno ci attacca.

Erasing Frank
Una scena di Erasing Frank

Perché hai scelto questa storia per il tuo debutto cinematografico?

Ho trovato una parabola universale nella storia dei punk e della psichiatria politica durante la Cortina di Ferro, come è stata usata contro chiunque fosse diverso dal pensiero obbligatorio. Penso che nella recente storia europea questo sia l’attacco più estremo all’individualità, all’identità, alla libertà e alla coscienza. Da un lato, non si sa bene cosa sia successo, quindi l’argomento guida il pubblico in un mondo totalmente nuovo, dall’altro, quello che è successo è universale: “Cancellare Frank” significa cancellare chi siamo, da dove veniamo, il nostro passato, la cognizione ed il nostro futuro. La psichiatria politica è un simbolo universale di totalismo contro l’identità e l’umanità. Ho sperimentato questo atteggiamento fin dalla tenera età, da quando un adulto ti dice “Oh è un’idea stupida”, o quando uno Stato te lo dice se non ti adatti alla “norma”. Sono supersensibile su questo, e mi fa male ogni giorno, quando le persone non si rispettano a vicenda, quando uno fa il dio sull’altro.

Gábor Fabricius, regista di Erasing Frank

Anche se è ambientato nel 1983, il film è molto attuale e riflette sui nostri giorni. Che tipo di reazione e riflessione speri di ottenere dal pubblico?

Il processo creativo riguardava l’eliminazione di specifiche per mantenerle universali. I mondi orwelliani esistono simultaneamente in ogni periodo. C’è sempre un attacco alla libertà attraverso l’uniformazione, anche se pensiamo che “quei tempi” siano finiti. No. Ogni generazione dovrebbe resistere per preservare la libertà per le generazioni future. Gli attacchi provengono da varie fonti: possono essere ideologie, possono essere tentazioni o bugie, possono essere semplici aggressioni o paranoie. La libertà è fluida e bisogna comprenderne l’essenza, per potersene accorgere, quando qualcuno te la sta togliendo. Il tuo orientamento sessuale è scomodo? La libertà ti è tolta. Il tuo modo di pensare è etichettato? La libertà ti è tolta. Ti senti obbligato a consumare come tutti gli altri? Sei una donna in un corpo maschile? Un migrante? Le liste sono infinite.

Un’immagine di Erasing Frank

Come ha lavorato con Judit Sinkovics e Eggert Ketilsson per creare la giusta mise en scene fper il film?

Vengo da un background artistico, dove per anni mi sono interessato alle installazioni, dove il pubblico mette piede in un’atmosfera che solleva domande e manda messaggi forti. La sceneggiatura di Erasing Frank è stata scritta anche in questo modo. La scenografia e i costumi dovevano essere entrambi sobri e super realistici, ruvidi e puzzolenti, sporchi e unti, come mi ha consigliato un testimone dell’epoca. Judit ed Eggert sono stati entrambi in grado di raccontare la loro storia in modo sommesso, dove il brief era: less is more. Abbiamo usato la gomma da cancellare al posto della matita per essere vuoti, anti-iconici, semplici, quasi in bianco e nero anche nei colori, dove le espressioni facciali erano sempre più forti del set o dei costumi. La pelle è l’unica interfaccia umana, l’unica qualità umana in un mondo totalitario. Judit ed Eggert hanno dovuto creare allo stesso tempo una messa in scena sospesa che lascia che il pubblico si perda nel tempo e nello spazio.

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