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Freaks Out | Tra Roma Città Aperta e Il Mago di Oz. Il film di Gabriele Mainetti? Meraviglioso

L’opera seconda del regista romano? Un lavoro importante che potrebbe fare luce all’intera industria

Freaks Out
Una scena di Freaks Out di Gabriele Mainetti.

ROMA – Prima di addentrarci in Freaks Out, una piccola premessa: quando uscì Lo Chiamavano Jeeg Robot capimmo che il cinema italiano stava cambiando. O meglio, che anche la nostra industria – spinta da una visione nuova di nuovi autori – potesse fare un salto, legando a sé qualità, innovazione, ambizione e il gusto della sorpresa. Dietro a quel film (era il 2015, sembra passata un’eternità) c’erano due esordienti: Gabriele Mainetti alla regia, Nicola Guaglianone (insieme a Menotti) alla sceneggiatura. Il film fu un successo di pubblico e di critica (soprattutto quella più giovane e meno radicata a certi dogmi), facendo del regista un punto di ripartenza. Così, qualche tempo dopo, l’annuncio: Mainetti al lavoro su un’opera che sembrava già incredibile ancora prima di essere girata. Un circo, un gruppo di reietti, Roma sotto l’occupazione nazista. Passano gli anni e, tra rimandi e rinvii, l’attesa cresce. Del resto, per l’arte in genere ci vuole metodo, e la banda di Mainetti ne ha da vendere.

Aurora Giovinazzo, Giancarlo Marini, Claudio Santamaria e Pietro Castellitto, protagonisti di Freaks Out
Aurora Giovinazzo, Giancarlo Marini, Claudio Santamaria e Pietro Castellitto, protagonisti di Freaks Out

Poco importa se abbiamo atteso quasi quattro anni per vedere quello che – per noi – diventerà un classico, quasi come fu la Cabiria di Giovanni Pastrone. Un kolossal girato in modo deliziosamente artigianale. Solo che non siamo più nel 1914, e allora lo stupore davanti a Freaks Out è pari a quello che proviamo davanti le produzioni contemporanee di Hollywood: tecnica e storia, interpreti perfetti e una voglia di folgorare la platea che, oggettivamente, non può restare indifferente davanti al secondo film di Mainetti. Come detto, siamo nella Roma della Seconda Guerra Mondiale e, tra bombe e rastrellamenti, quattro brontoloni artisti circensi con poteri più o meno speciali (Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini; tutti meravigliosi, tutti da abbracciare), si mettono alla ricerca del loro mentore, Israel (Giorgio Tirabassi), caricato su di uno di quei treni che non prevede viaggio di ritorno.

Aurora Giovinazzo. Giorgio Tirabassi e Pietro Castellitto in una scena del film
Aurora Giovinazzo. Giorgio Tirabassi e Pietro Castellitto in una scena del film

Si divideranno e si ritroveranno, affronteranno l’inferno e, forse, arriveranno a toccare le stelle. In mezzo, un cattivo da fumetto (interpretato da un pazzesco Franz Rogowski), che rappresenta perfettamente l’idiozia nazista: borioso, meschino, ossessionato dal potere e dall’occulto. Lo ripetiamo, Freaks Out di Gabriele Mainetti, come e di più di Jeeg Robot, per due ore piene fa tornare il cinema italiano dove meriterebbe di stare, dimostrando che le belle storie le abbiamo anche noi, e che anche noi abbiamo i nostri eroi, che sia un Partigiano o che sia una ragazza elettrica che non può essere sfiorata. Ovvio, su carta l’opera di Mainetti era contornata da rischi enormi, ma quando si ha la capacità intellettuale e pop(olare) di saper maneggiare il cinema, ogni nube può essere diradata. Cosa rimane, dunque? Un monito per i produttori italiani, e soprattutto un film emozionante e divertente, sporco quanto nobile, disperato e crudo.

freaks out
In viaggio con il circo di Israel…

Sfumature che riflettono i profili dei suoi scapigliati e improvvisati protagonisti, anime centrali del racconto nonché imperfette e inconsapevoli figure che fanno da ago della bilancia nella Resistenza e nella sconfitta di Hitler, (pre)vista dal cattivo gerarca nazista in preda ad allucinazioni oniriche che mischiano i Nirvana, l’iPhone e Martin Luther King. Certo, come fu Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino, anche Freaks Out è solo finzione, ma è una finzione che ci fa godere nel vedere i nazisti presi a calci, ci entusiasma per il cinema puro, e ci fa prendere parte attiva nell’ancestrale battaglia tra il bene e il male, sospinta dall’occhio e dalla narrativa di Mainetti, che si diverte e diverte, riscrivendo tra le righe il concetto della catarsi e dalla fiducia in sé stessi, come fece Victor Fleming nel 1939, adattando Il Mago di Oz di L. Frank Baum. Anche lì quattro protagonisti (e quelli di Freaks Out, per intenzioni e caratteristiche, li ricordano), anche lì un viaggio da compiere e un percorso lastricato dall’oscurità. E allora, con una scrittura del genere e una messa in scena strabiliante, anche un’altra citazione come quella di Roma Città Aperta di Rossellini diventa folgorante, geniale e dinamitarda. Un’esagerazione? No, solo un film stupefacente.

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