PESARO – «Allora, sono andato da Renzo Palmieri, ex direttore storico del Cocoricò, e Loris Riccardi, il direttore artistico, dicendo che non me ne fregava un ca**o della discoteca. E loro? Hanno apprezzato. Poi mi hanno abbracciato e mi hanno detto: puoi fare questo film». Così confessa ai microfoni di Hot Corn – con una risata – Francesco Tavella, regista di Cocoricò Tapes, documentario che ha presentato in anteprima alla 59° Mostra del Cinema di Pesaro assieme allo sceneggiatore, Matteo Lolletti. In vent’anni, lo staff del Cocoricò di Riccione aveva sempre rifiutato tutti quelli che chiedevano di fare un film o una pellicola sulla loro discoteca, poi sono arrivati Tavella e la sua banda con un approccio sincero e le cose sono cambiate.
LA GENESI – «Da dove parto? Allora, il film è nato perché ho dei ricordi legati agli anni Novanta, legati a chi ascoltava quel tipo di musica, a chi frequentava quel tipo di ambiente. Dai racconti di chi ho incontrato è emersa la mancanza di quella libertà di espressione che permetteva tutto, dentro al Cocoricò. Noi apriamo e chiudiamo nel documentario un periodo storico che cerchiamo di definire dalla caduta del Muro di Berlino all’attentato delle Torri Gemelle. Quello che ci interessava raccontare era anche quello che sono stati quegli anni e la generazione che li ha attraversati. Il film è per gli appassionati e per coloro che hanno vissuto il contatto con quel mondo, un determinato tipo di divertimento, ma allo stesso tempo abbiamo fatto un passo in più per avvicinare coloro non nemmeno conoscevano il mondo del Cocoricò…».
LE DIFFICOLTÀ – «La più grande difficoltà? Si è trasformata in una grande opportunità: reperire i materiali d’archivio ci ha permesso di incontrare centinaia di persone, tutte legate in un modo o nell’altro al Cocoricò. Ci hanno aiutato a trovare questi materiali inediti, tra roba materiale, fotografie e programmi tv di persone e di cose che non conoscevamo, ma di cui qualcuno ha memoria. Ho scoperto che c’è gente che è una vera e propria enciclopedia, e basta solo trovarli e chiedere loro informazioni o ricordi. Restava poi da capire come interfacciarsi cronologicamente con la mole di materiale che avevamo, ma è stata anche qui una difficoltà stimolante».
LA NOSTALGIA – «No, no, nessun effetto nostalgia. Il film non è biografico. Non c’è nessuno che dice quando è stato fondato il Cocoricò e quanto incassava. Nessuno dice niente di tutto ciò e credo che ulteriormente sia quella la forza del documentario: volevamo che non ci fosse un effetto nostalgia. Volevamo che fossero dichiarazioni ufficiali di quei momenti. Il Cocoricò in questo ci ha aiutato perché, come dice anche poi Loris Riccardi nel film, intercettava gli umori del periodo li faceva diventare un’espressione culturale artistica che prescindeva dall’ambiente classico della discoteca…».
LORIS, IL PROTAGONISTA – «Nel film Loris è chiuso in un televisore non tanto per la divinizzazione, ma per rispetto nei suoi confronti. Loris è una persona che non si è mai mostrata, se non a noi: è il protagonista del film non perché tutti ci hanno detto che il Cocoricò è Loris, ma perché lui in trent’anni non ha mai detto: “il Cocoricò è mio”. Questo è fondamentale quando hai la necessità di cercare un personaggio forte che ti accompagni in un percorso soprattutto di vita e di condivisione. Questa cosa mi ha colpito molto, soprattutto in un ambiente dove invece si tende a volersi prendere tutti i meriti possibili. Quindi aver trovato una persona così umile, così ancora energica e assolutamente carica di idee, ci ha svoltato il lavoro…».
- INTERVISTE | Pedro Armocida: «La mia Pesaro, tra Amarcord e Flashdance»
- VIDEO | Qui due clip di Cocoricò Tapes:
Lascia un Commento