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Fanny e Alexander | L’ultimo atto di Ingmar Bergman, il Natale e un’opera magica

Bertil Guve e Pernilla Arnill, la rinuncia di Ingrid Bergman, i rimpianti. E quella tradizione di Natale…

Fanny e Alexander
Pernilla Allwin e Bertil Guve sono Fanny e Alexander Ekdahl.

ROMA – «Quando non è un documentario, il film è un sogno». Così diceva Ingmar Bergman a proposito di un cinema che se non è cine-verità è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. L’aforisma però è incompleto perché nella versione completa recita: «…È per questo che Andrej Tarkovskij è il più grande di tutti». E se è vero che la materia filmica nel linguaggio tarkovskiano prende la via del cinema come istantanee di vita reale, frammenti di tempo disgregati resi mosaico da un montaggio che ne cuce le estremità senza darvi soluzione di continuità temporale, lo stesso può dirsi del cinema di Bergman che trovò in Fanny e Alexander, uscito nel 1982, la sublimazione di quel potere magico del cinema in cui l’impossibile diventa possibile, il tempo e lo spazio non esistono e l’immaginazione tesse nuovi disegni e nuovi mondi.

Fanny e Alexander, o dell'ultima volta cinematografica di Ingmar Bergman
Fanny e Alexander, o dell’ultima volta cinematografica di Ingmar Bergman

Diceva Bergman di Tarkovskij che il suo era «Un nuovo linguaggio, che gli permette di affrontare la vita come appartenenza, la vita come sogno». Un concetto che sembra sposarsi perfettamente a Fanny e Alexander di cui Bergman popola la narrazioni di immagini di vita, della sua vita, da un’apologia dell’arte vista come universo che riprende il tema pirandelliano del rapporto tra teatro e vita resa da Bergman nell’amorevole entusiasmo affidato alle parole di Oscar Ekdahl (Allan Edwall): «L’unico talento che io ho è quello di amare quel piccolo mondo racchiuso tra le spesse mura di questo edificio e soprattutto mi piacciono le persone che abitano qui in questo piccolo mondo. Fuori di qui c’è il mondo grande e qualche volta capita che il mondo piccolo riesca a rispecchiare il mondo grande tanto da farcelo capire un po’ meglio…».

La magia del Natale in Casa Ekdahl

Ma soprattutto di vita, morte, del senso dell’esistenza, della famiglia e dell’atmosfera familiare che malgrado gli errori e i dolori di ognuno è fonte di felicità, come raccontatoci da Bergman in quella prima, formidabile, ora di Natale in Casa Ekdahl la cui dolce e festosa atmosfera fatta di scherzi, giochi, canti, balli, zii eccentrici, bimbi curiosi e un cenone ormai leggendario, è pura gioia di vivere, di fare cinema, di raccontare cinema. Da quel momento in poi, come fosse un film-nel-film che funge da prologo, Fanny e Alexander dischiude le gemme della sua anima dando a Bergman la possibilità di realizzare una fiaba per bambini (e per adulti) sul caso, sull’amore, sulla fantasia e i fantasmi, sulla rottura di equilibri da parte di uomini malvagi (il vescovo Vergérus) e su come la magia degli uomini buoni (il rigattiere Isak Jacobi) possa ridare armonia nella vita di ognuno.

«Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono»

Ma da dove nasce l’idea alla base di Fanny e Alexander? Secondo le cronache dell’epoca, Bergman ne immaginò i connotati durante la lavorazione de Un mondo di marionette. Tornato a Fårö nell’estate del 1979, scrisse un maxi-trattamento, a mano: oltre 1000 pagine, per quello che Bergman concepì – da subito e da sempre – come il suo saluto di commiato al cinema: «Ho scelto di ritirarmi perché non ho più la forza, né psicologicamente né fisicamente di realizzare un film». Da qui l’intuizione autobiografica nel ritrarre i ricordi più cari di un’infanzia: «La mia. Felice e privilegiata. Era difficile distinguere tra ciò che era fantasia e ciò che era reale. Se provavo a fare uno sforzo forse riuscivo a far rimanere reale la realtà. Per esempio, c’erano fantasmi e spettri. Cosa dovevo fare con loro? Erano reali o no?».

Fanny e Alexander fu distribuito al cinema il 17 dicembre 1982
Fanny e Alexander uscì al cinema il 17 dicembre 1982

C’è molto degli Ekdahl in ciò che erano i Bergman. Come la casa di nonna Helena e la calorosità del Natale rievocanti quello della nonna Anna Calwagen, o la riproposizione filologica del rapporto fraterno tra Ingmar e la sorella Margareta nelle dinamiche – nonché negli aneddoti – del background narrativo tra Fanny e Alexander Ekdahl. Avete presente quando Alexander dice di essere stato venduto a un circo? Era uno scherzo che faceva Bergman più o meno alla stessa età del giovane protagonista. Attenzione però a considerarlo come un suo alter-ego scenico: «Qualcuno suggerisce questo ma non è del tutto vero perché Fanny e Alexander è semplicemente una storia: la cronaca di una classe media, forse una famiglia dell’alta borghesia, molto unita. In realtà c’è più di me in Vergérus che non in Alexander, perseguitati dagli stessi diavoli».

«In realtà c’è più di me in Vergérus che non in Alexander, perseguitati dagli stessi diavoli»

Non tutto però, perché se è vero che mamma Emilie rievoca in parte quella Karin Åkerblom che di Bergman fu madre e che l’autore definì come «vergine e seduttrice allo stesso tempo», lo stesso non può dirsi per il padre Oscar visto che il padre di Ingmar – tale Erik Bergman a cui il Maestro dedicò vent’anni prima Luci d’inverno – era un pastore luterano rievocante più Vergérus nella dimensione caratteriale spigolosa con cui Ingmar – così come lo scenico Alexander – fu in continuo conflitto. Buttato giù lo script, Bergman propose Fanny e Alexander all’executive Jörn Donner che affermò di poter fornire budget, troupe e costumista tutto di fattura svedese – cosa su cui Bergman nutriva seri dubbi – ma finì con il doversi ricredere. Con i soli 40 milioni di corone (oltre 3 milioni di dollari) era già il più costoso film svedese di sempre.

Pernilla Allwin e Bertil Guve sono Fanny e Alexander Ekdahl
Pernilla Allwin e Bertil Guve sono Fanny e Alexander Ekdahl

Il budget salì a 6 milioni di dollari dopo che Donner e lo Swedish Film Institute ottennero co-finanziamenti dalla francese Gaumont e dalla televisione di stato tedesca ZDF e a 7 milioni dopo che – a script ultimato – Bergman volò a Hollywood a caccia di finanziamenti. Per l’ottobre 1980 ne fu annunciata la realizzazione. E fu facile, specie perché per Fanny e Alexander ci si aspettava un’ensemble di attori bergmaniani di tutto rispetto: da Erland Josephson (Isak Jacobi) ad Harriett Andersson (Justina) passando per Gunnar Björnstrand (Filip Landahl), senza dimenticare Max von Sydow e Liv Ullmann rispettivamente nei panni di Vergérus e mamma Emilie. Poi accadde qualcosa: le trattative per assicurarsi l’ex-Padre Merrin de L’Esorcista (di cui potete leggere qui) presero una brutta piega quando il suo agente giocò al rialzo per l’ingaggio dopo l’affermazione nella Hollywood che conta. Sarà sostituito così da Jan Malmsjö.

Ewa Fröling e Allan Edward sono Emile e Oscar Ekdahl

Lo stesso dicasi per l’ultima attrice-feticcio bergmaniana Liv Ullmann che, a causa di conflitto di lavorazione con Gli amori di Richard di Anthony Harvey, rinunciò alla parte di mamma Emilie poi affidata a Ewa Fröling, scelta di cui la Ullmann si pentì amaramente anni dopo: «Non so ancora perché ho scelto di rifiutare la parte». Bergman le rispose per le rime: «Evidentemente ha proprio perso il suo tocco». In origine – ma è più un rumor rincorsosi negli anni che non una notizia vera e propria – ci sarebbe dovuta essere anche Ingrid Bergman nel cast di Fanny e Alexander. A quanto pare Bergman (Ingmar) scrisse il ruolo di nonna Helena con lei in mente, ma le cattive condizioni di salute della diva svedese le impedirono a malincuore di prendervi parte. Al suo posto venne chiamata Gunn Wållgren.

Gunn Wållgren è Helena Ekdahl

Nel cast ci furono anche voti noti del privato di Bergman, alcuni dei figli presero parte a Fanny e Alexander come Mats nel ruolo del nipote di Isak, Anna in quello di Hanna Schwartz. Ci sarebbe dovuta essere anche Linn Ullmann (la figlia avuta con la quasi omonima Liv) nei panni di Amanda, la sorella maggiore di Fanny e Alexander, ma quando la scuola di Linn si rifiutò di darle il permesso di saltare le lezioni per la produzione, suo padre Ingmar tagliò il personaggio dallo script. Eppure, che ci crediate o meno, i piccoli protagonisti di Fanny e Alexander, Bertil Guve e Pernilla Allwin, nonostante l’affinità fraterna sullo schermo, si detestavano profondamente tanto da considerarsi rivali. Proprio come dei veri fratelli! Nessuno dei due, tuttavia, avrà fortuna nel cinema, giusto il giovane Guve reciterà ancora per Bergman in un piccolo ma prezioso ruolo in Dopo la prova.

Tra Pernilla Allwin e Bertil Guve furono scintille

Scoperto da Bergman in un film televisivo di Lasse Hallström del 1981 dal titolo Kom igen nu’rå!, Guve in seguito dichiarò: «Chiesi a Ingmar perché mi scelse e mi rispose che sapevo agire con gli occhi». Ci vide bene. Fu lui la rivelazione del film, svelandosi al mondo in tutta l’intensità di quella mimica e quegli occhi capaci di far trasparire tutta la curiosità e la gioia che un bambino può avere. Per la magia, per i giochi, per l’incomprensibile. La lavorazione de Fanny e Alexander avvolse Bergman di desideri e sentimenti contrastanti. «C’era una soddisfazione quasi sensuale nel lavorare a contatto con persone forti, autonome e creative. Capisco quel che intendeva dire Fellini quando affermava che il cinema è per lui un modo di vivere. A volte è una particolare fortuna essere regista cinematografico». Gratitudine mista a pura gioia.

«Chiesi a Ingmar perchè mi scelse e mi rispose che sapevo agire con gli occhi»

Dall’altra, complice delle frizioni sempre più feroci con il direttore della fotografia, Sven Nykvist, a cui Bergman non diede il permesso di lasciare il set per andare al funerale dell’ex-moglie, Fanny e Alexander fu fonte di preoccupazioni per il regista tanto da lasciarsi assalire da infelicità, ansia, ipocondria spinta. Divenne un vero malanno dopo un febbrone da cavallo che lo costrinse a letto per dieci giorni nella paura di non riuscire a portare a casa un’opera di tale peso specifico per cui solo la parola kolossal visto il budget e i mezzi impegnati nella lavorazione (oltre 500 comparse tra cui una banda di ottoni) può rendervi giustizia. Ci riuscì, in maniera eccelsa. Doppiamente. Al pari di Scene da un matrimonio (di cui potete leggere il Longform qui), infatti, anche Fanny e Alexander vide la luce come prodotto filmico e telefilmico e stavolta come si deve.

Erland Josephson è il rigattiere ebreo Isak Jacobi

Il motivo? Perché al tempo Scene da un matrimonio fu concepito come miniserie (in onda in Svezia dall’11 aprile 1973) per poi essere adattato come lungometraggio (in sala dal 28 ottobre 1974). Questo impedì all’eccellente opera di poter essere candidabile agli Oscar 1975 in quanto derivata e non originale. Con Fanny e Alexander questo errore non si ripeté. Ultimato il montaggio preliminare, Bergman licenziò due specifici cut: uno televisivo da 312 minuti e uno per il cinema da 188 minuti. Scelta che, per quanto necessaria, Bergman fece a malincuore: «Fu problematico perché per la versione cinematografica ho dovuto tagliare gran parte del materiale fantasy, i nervi e la linfa vitale della narrazione». Il risultato? Presentato in forma cinematografica il 17 dicembre 1982 a Stoccolma, sarà un successo strepitoso. A Venezia, l’anno dopo, Bergman verrà insignito del Premio FIPRESCI. Sarà l’inizio di una girandola di premi in giro per il mondo.

La prima puntata della versione televisiva di Fanny e Alexander fu trasmessa il 25 dicembre 1984
La prima puntata della versione TV di Fanny e Alexander, trasmessa il 25 dicembre 1984

Agli Oscar del 1984, pur non in corsa per la categoria di miglior film, Fanny e Alexander sarà tra i protagonisti assoluti portandosi a casa ben 4 Oscar: miglior film straniero, miglior scenografia, miglior fotografia e migliori costumi, a fronte di 6 nomination (c’erano anche regia e sceneggiatura). Lo stesso dicasi ai Golden Globe dove verrà insignito del Globe al film straniero, ma l’elenco è lungo e comprende celebrazioni e gioie tra BAFTA, David di Donatello, César. Sarà solo dopo il premiato viaggio che Fanny e Alexander approderà nella completa versione TV da cinque ore sulla SVT (Sverige Television) a partire dal 25 dicembre 1984, così da raggiungere i piani più alti dell’immortalità del tempo nel suo sviluppo episodico come la più preziosa delle tradizioni televisive di Natale. Di sicuro lo è per il popolo svedese, di sicuro lo è per molti di noi.

  • LONGFORM | Solaris, o del cinema del sogno di Tarkovskij
  • LONGFORM | Scene da un matrimonio, cinquant’anni dopo
  • REVISIONI | Ingmar Bergman e la modernità de Il Settimo Sigillo
  • LONGFORM | Luci d’inverno, il film del cuore di Bergman
  • LONGFORM | Stalker, quarantacinque anni dopo

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

 

 

 

 

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