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Beau Ha Paura, Joaquin Phoenix e quelle ossessioni. Viaggio nella mente di Ari Aster

Le ossessioni, l’orrore, i limiti da superare. Analisi di un autore (e di un film) decisamente unico

Joaquin Phoenix ringiovanito nel primo poster di Beau Ha Paura

MILANO – Il cinema horror, per definizione, è un genere volto a sconvolgere e inquietare lo spettatore con immaginari e personaggi macabri, mostruosi, sovrannaturali. Le situazioni generate dal cinema dell’orrore scardinano la quotidianità delle vite dei protagonisti e bucano le loro realtà con l’irrazionale e l’ignoto, sconvolgendo chi guarda e chi viene guardato. Negli ultimi anni Ari Aster è diventato un autore abile ad addentrarsi nelle declinazioni di questo genere, con una semplice formula: l’orrore proviene sempre dalla realtà. Si è così imposto sui valori più comuni dello storytelling, come la famiglia e le relazioni, tramutandoli in tabù. Ma l’abietto e il perverso, ciò che va contro la morale comune, finisce sempre per attirare. Dopo Hereditary e Midsommar, Ari Aster tornerà con Beau Ha Paura (qui il trailer), nuovo film prodotto dalla A24 che avrà come protagonista Joaquin Phoenix. Già noto come Disappointment Blvd., arrivato in Italia con I Wonder Pictures.

Beau Is Afraid
Joaquin Phoenix in una delle prime immagini di Beau Ha Paura.

Oltre all’incipit e ad un poster che sembrerebbe raffigurare una versione giovane di Phoenix (quando ancora si faceva chiamare Leaf) ma che è un attore, sappiamo poco ed è meglio così. In America è stato amato e odiato in egual misure e siccome l’horror è anche mistero, nell’attesa entriamo nella grottesca mente di Ari Aster e facciamoci strada in questo labirinto di traumi. Studiamone la narrazione, visioniamo alcuni suoi lavori e proviamo a tracciare una mappa dei temi cari al regista, per provare a fare qualche previsione e teoria sul suo prossimo lavoro. Non c’è niente di più reale e vero di un rifugio famigliare, di un porto sicuro: casa propria, nell’accezione del termine più ampia possibile. La cosa più terrificante che possa accaderti è quando è la tua stessa famiglia, i tuoi affetti stabili, a spaventarti. I volti che hai sempre riconosciuto come amorevoli si deformano e diventano irriconoscibili.

Una scena di The Strange Thing About the Johnsons, tesi di laurea di Aster all’AFI Conservatory, nel 2011.

Un elemento che Ari Aster porta al suo estremo. Nel suo (disturbante) corto d’esordio del 2011, The Strange Thing About The Johnsons – la tesi di laurea del regista all’AFI Conservatory di Los Angeles, potete vederlo in fondo all’articolo – ci viene mostrato un sopruso perpetrato al contrario: il figlio adulto abusa del padre; la madre lo scopre, ma forse anche per lo shock tiene questo segreto fino a quando la cosa non degenera. Il dramma si consuma tra le mura di casa fino a quando Aster non butta giù – metaforicamente – la porta della dimora dei Johnsons. Il valore diventa tabù; famiglia e incesto. La casa non è più luogo sicuro. La stessa cosa vale per Hereditary, primo lungometraggio che fu un caso (quasi 80 milioni di dollari di incasso da un budget di 10 milioni). Qui il processo di trasformazione di valore in tabù è più “ultraterreno”, e già nei canoni tipici dell’horror, anche se inizia come una qualsiasi altra storia: quella che racconta il valore della famiglia. Certo qui la famiglia Graham non se la passa bene ancora prima di entrare nel territorio del sovrannaturale, ma tutti gli elementi horror che poi arrivano a caricare il dramma hanno sempre come punto di partenza la realtà di quei protagonisti.

Hereditary
Milly Shapiro sul set di Hereditary – Le radici del male.

Poi arriva l’irrazionale e sfonda la porta della casa di un’altra famiglia, ma con la base gettata prima persino l’aspetto più orrorifico e assurdo ci sembra vero. D’altronde se dovessimo descrivere Hereditary lo faremmo parlando di un lutto che spacca a metà una famiglia, e di un figlio che si sente tradito dalla sua stessa madre. Anche in Munchausen, un altro suo cortometraggio del 2013 (che potete vedere qui sotto), la figura materna è al centro della storia. Viene esplorato il tema della patologia nota come Sindrome di Munchausen in cui un genitore induce sintomi clinici in un figlio per ottenere un vantaggio psicologico. La trama si sviluppa attorno al desiderio della madre di non rimanere sola quando il figlio parte per il college, conducendo a un gesto tragico e grottesco. Viene perpetrato di nuovo il tradimento della madre nei confronti del figlio.

Midsommar – Il villaggio dei dannati, il secondo film – che avevamo amato e di cui vi avevamo parlato qui – non si allontana da questi temi, ma porta l’orrore alla luce del sole e fuori le mura di una casa. Il racconto esplora il dolore e la disponibilità affettiva nella relazione della coppia protagonista, Dani e Christian (Florence Pugh e Jack Reynor), messi alla prova dal suicidio della sorella di lei e dall’egoismo di lui. La loro relazione è messa in discussione all’interno di una comunità immaginaria in Svezia, dove si svolge un festival folkloristico per il solstizio d’estate. La perdita e il lutto vengono sublimati dai personaggi per evitare che tale trauma possa gravare su un partner emotivamente assente. Le mura, stavolta, sono quel confine immaginario che circonda il villaggio svedese in cui è ambientata la storia, che diventa una dimensione che descrive lo stato di coscienza dei personaggi, tutto questo per cercare di riportare Dani su un giusto cammino. Anche qui, dovessimo descrivere Midsommar, ne parleremmo come un dramma sugli abusi emotivi nelle relazioni. L’orrore arriva, di nuovo, dalla realtà.

Midsommar
Aster con Florence Pugh sul set di Midsommar.

Sembra strano dirlo, ma c’è anche un po’ di humor nei lavori di Ari Aster. Un tratto comico che pervade queste storie e in certi punti fa da sottotesto. Il grottesco fa sorridere d’altronde, seppur per i motivi sbagliati. Come l’horror, anche la commedia è attratta dalla trasgressione: ci fa ridere ciò che inusuale e fuori dall’ordinario; gli elementi che invece nel cinema dell’orrore ci spaventerebbero.
In Beau, corto del 2011, un uomo sta per partire per andare a trovare sua madre. Poco prima di chiudere a chiave casa, rientra perché ha dimenticato una cosa. Al suo ritorno, le chiavi di casa che aveva lasciato appese alla porta non ci sono più. Di fronte alla tensione e alla paranoia dell’uomo di non poter chiudere la porta, la percezione degli spazi e delle persone che lo circondano si fanno inquietanti e stressanti, anche se apparentemente non lo sono. In Beau l’orrore arriva dall’ansia di veder violato il proprio domicilio.

Beau
Billy Mayo in una scena di Beau, corto del 2011.

Era lo stesso terrore del padre della famiglia Johnson, che temeva di veder violato il suo corpo. Qui la porta del rifugio sicuro non viene sfondata, ma viene lasciata aperta e tutto confluisce dentro. Anche la cosa più banale a questo punto può diventare terrificante: le urla strazianti delle litigate dei vicini, che in realtà si rivelano essere teneri giochi e risate di una coppietta felice; una creatura mostruosa che sembra nascondersi nello sgabuzzino è in realtà solo un opossum che è riuscito a sgattaiolare dall’entrata principale; una tentata rapina viene sventata in una maniera che ricorda i trucchi di Mamma ho perso l’aereo. Il nome del corto è comune proprio a quello del prossimo film di Aster, Beau Ha Paura È solo una coincidenza? Nel 2020, quando aveva menzionato per la prima volta il progetto, ne aveva parlato come una nightmare comedy, ovvero una commedia da incubo.

Il primo poster di Beau Ha Paura

Tenendo conto di quello che è il corto, viene da pensare che probabilmente l’unica cosa ad accumunarli non sarà solo il nome del personaggio. In principio il film doveva intitolarsi Disappointment Blvd., “viale della delusione”: il ritratto di quest’uomo sarà sicuramente quello di una figura solitaria, autoemarginatasi, e se succedono cose “divertenti” ad un personaggio di questo tipo, si cadrà nel grottesco. Il grottesco ci fa ridere ma prova comunque un certo disagio, e chissà da quali altri elementi sarà alimentato questo disagio. Sicuramente, dati i precedenti, Beau Ha Paura sarà una grande opera, ma essendo completamente all’oscuro, non sapere nulla del personaggio di Joaquin Phoenix ci terrorizza ed eccita allo stesso tempo. Metà del lavoro è già fatto. Chapeau, Ari Aster.

  • SOUNDTRACK | Perché riscoprire la colonna sonora di Midsommar

Qui sotto potete vedere il trailer di Beau Ha Paura:

 

 

 

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