in

Beau Ha Paura | L’odissea di Joaquin Phoenix, la madre di Ari Aster e il cinema

Amarlo o odiarlo? Vederlo oppure non vederlo? Cronaca di un film unico. In tutti i sensi…

Beau Ha Paura
Beau Ha Paura e le quattro facce di Joaquin Phoenix.

MILANO – Dopo essersi fatto conoscere (e amare o odiare) con Hereditary e Midsommar, Ari Aster si è lanciato nel terzo film, in quello che è già stato definito come la commedia più terrificante oppure l’horror più divertente dell’anno. Dipende dai punti di vista. Avevamo già provato ad immaginare in un articolo (lo ritrovate qui) a cosa saremmo andati incontro con Beau ha paura, ma davvero nulla e nessuno poteva prepararci all’odissea cinematografica di Joaquin Phoenix. Se non fosse ancora chiaro, Aster soffre di “mommy issues”: da Toni Collette in Hereditary fino alla magnetica Patti LuPone qui in Beau ha paura, la figura materna e il tradimento subito o perpetrato è (palesemente) ricorrente nella sua filmografia (di appena tre pellicole!). Il film riprende nell’incipit il corto del 2011 di Aster in cui un uomo stava per partire per andare a trovare la madre, ma poco prima di chiudere casa rientrava perché aveva dimenticato una cosa. Al ritorno le chiavi che aveva lasciato appese alla porta non c’erano più.

Beau Ha Paura
Joaquin Phoenix in una scena di Beau Ha Paura.

Da qui prende piede Beau ha paura con il viaggio di un uomo complessato incapace di giungere a destinazione in un mondo completamente impazzito. Percorrerà strade che non si trovano su alcuna mappa – come recita la sinossi – e sarà costretto ad affrontare tutte le paure e le bugie di una vita. E sarebbe quasi impossibile dar via qualche altro dettaglio della trama perché Beau ha paura è un film molto complesso. Anzi, è un film che vuole essere molto complesso. Non mette il pubblico nelle condizioni di poter capire quello che sta succedendo né tantomeno pretende un’immedesimazione totale dello spettatore nei confronti del protagonista. Empatia? Poca. Rimane in bilico – scena dopo scena – tra il surreale e il grottesco, calibrando gli elementi. Ma attenzione: qualsiasi ricerca di un’interpretazione a quello che vedrete rimane superflua.

Beau Ha Paura
“Ari, cos’è quello?”. Joaquin Phoenix e Aster sul set.

Paragoni? A qualcuno potrebbe ricordare il cripticismo di David Lynch o l’ironia dei Coen, ma il tratto comico ha sempre fatto parte dei lavori di Aster e in questo film esplode in colpo solo: dall’esagerazione della criminalità nel quartiere dove Beau vive (cadaveri di senza tetto lasciati ai margini del marciapiede; ladri che cercano di intrufolarsi negli appartamenti) fino agli infiniti e snervanti silenzi che ne accompagnano le telefonate.  Il tutto è ovviamente filtrato dagli occhi di Beau, una persona ansiosa che non fa che percepire solo il caos attorno a sé fino a quando realtà e fantasia non si mischiano ad un livello tale (e vedendo una certa sequenza verrebbe da dire espressionistico) da non saperle distinguere. Le paure conclamate nel titolo ci appaiono folli, irrazionali e difficilmente giustificabili, eppure seguire Beau in questa odissea viene così naturale grazie alla regia di Aster (forse la più studiata tra i suoi film) che rimane comunque sempre salda al genere horror che tanto gli ha dato fortuna.  

Beau Ha Paura
Beau e le ossessioni familiari.

Il filo conduttore del viaggio? Il rapporto del protagonista con la madre, ovvio, e quando si concentra sulle dinamiche di questo rapporto – come nei flashback – Beau ha paura percorre binari più tradizionali in cui si fondono però giochi di luce surreali e che tanto ricordano i fondali espressionistici (grazie anche alla fotografia di Pawel Pogorzelski, alla terza collaborazione con il regista). La rappresentazione è quella del complesso di Edipo, con il protagonista in competizione con un padre (assente, morto) e la paura di fare sesso per via di una bizzarra sindrome congenita. A gettare (altre) oscure ombre sulla vita del protagonista è la figura della madre che lo accompagna in questo guilt trip, espressione inglese azzeccata per descrivere il viaggio: l’esperienza di sentirsi in colpa per qualcosa, soprattutto quando il senso di colpa è autoindulgente o ingiustificato.

Beau Ha Paura
La scena più assurda del film? Questa. Forse.

E quindi? In definitiva com’è davvero il nuovo film di Ari Aster, amato e odiato in ugual misura negli Stati Uniti? Drammaturgicamente goffo. Complicato in maniera inopportuna. Narrativamente snervante. Ma ha anche dei difetti. È un viaggio lungo tre ore (e Martin Scorsese lo ha già visto due volte) in cui la meta è venire a patti con la propria coscienza, ma non sta allo spettatore giudicare se quell’obiettivo è stato raggiunto o meno. Siamo inermi esattamente come il pubblico che nella sequenza finale vediamo alzarsi e andare via ad assimilare lo spettacolo a cui abbiamo assistito…

  • STORIE | Viaggio nella mente di Ari Aster
  • OPINIONI | Cosa significa rivedere Midsommar
  • VIDEO | Il trailer di Beau Ha Paura:

 

 

 

 

Lascia un Commento

Mediterranean Fever

Mediterranean Fever | Maha Haj, la questione palestinese e il senso della vita

White Collar.

White Collar | Matt Bomer, Tim DeKay e una serie assolutamente da riscoprire