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Barbara Chichiarelli: «The Good Mothers, il potere femminile e la voglia di migliorarmi»

Tra emancipazione femminile e il desiderio di sperimentare: l’attrice si racconta a Hot Corn

Barbara Chichiarelli
Barbara Chichiarelli, protagonista di The Good Mothers

ROMA – «Non ti sento!». L’appuntamento, virtuale, con Barbara Chichiarelli era fissato su Zoom ma la tecnologia ci ha remato contro. Così, dopo qualche tentativo degno di un film muto andato a vuoto, abbiamo deciso di optare per un’intervista telefonica. Abbiamo contattato l’attrice per parlare di The Good Mothers, serie scritta da Stephen Butchard basata sul romanzo di Alex Perry e diretta da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso. Un crime drama ispirato alle storie vere delle donne che hanno sfidato la ‘Ndrangheta e in cui Barbara Chichiarelli interpreta la magistrata Anna Colace che per prima ha l’intuizione di attaccare l’organizzazione criminale facendo leva sulle sue donne. Presentata in Concorso nella sezione Berlinale Series di Berlino 73, The Good Mothers – ora su Disney+ – la serie ha vinto il primo premio. Un momento che l’attrice non ha potuto vivere in prima persona perché impegnata su un altro set. «Volevo essere lì con loro in tutti i modi. Siamo sempre state in contatto, le seguivo passo passo, dalle interviste alla premiazione. Mi hanno video chiamata a quando abbiamo vinto. Ero lì con loro con il cuore e la testa…».

La proiezione di The Good Mothers a Berlino 73

Conoscevo già la storia di Lea Garofalo, ma nonostante questo rivederla in The Good Mothers mi ha fatto provare un senso si rabbia. È stato lo stesso per te?

Ho provato rabbia mista ad un senso di impotenza. Parlo ovviamente da persona e non da personaggio. Una rabbia perché è evidente che ci siano ancora dei forti limiti, sia da parte dello Stato che da parte della società civile a comprendere fino in fondo il fenomeno mafioso. E su questo basta aprire un libro di storia per capire che non è un problema degli ultimi anni. Dopodiché c’è un discorso legato alla percezione che l’opinione pubblica ha di questi fenomeni che cambia di regione in regione. Questo senso di rabbia è scatenato da tutti questi fattori messi insieme. Ovvero dall’attualità delle storie che raccontiamo e che riguardano più o meno l’inizio degli anni Duemila e anche dal fatto che lo Stato non è stato in grado, come nel caso di Lea Garofalo, di aiutare queste donne. È difficile riuscire a creare un percorso virtuoso con queste persone. Nel momento in cui si avvia com’è possibile che lo si lasci cadere così nel nulla con conseguenze spesso molto gravi?

barbara chichiarelli
Barbara Chichiarelli è Anna Colace. Foto di Claudio Iannone

Se da un lato parliamo apertamente di femminismo ed emancipazione, ci sono parti del nostro Paese che vivono una realtà totalmente differente. Quello che viene raccontato nella serie ti ha fatto riflettere su questi binari paralleli su cui ci muoviamo?

Gran parte del destino di ognuno di noi è segnato dalla nostra provenienza, cultura e famiglia. Questo meccanismo letale che c’è da secoli. Se eri servo della gleba rimanevi servo della gleba, non c’erano possibilità, non c’era un ascensore sociale… Credo che in questo momento siamo in una fase involutiva e non evolutiva rispetto al tema delle donne e della loro emancipazione, della possibilità di studiare, crescere, evolversi e staccarsi dalla famiglia. Nonostante sia il 2023. Perché in qualche modo i piccoli passi che eravamo riusciti a fare ce li siamo persi per strada per tutta una serie di ragioni. Non sono un antropologa né una sociologa ma credo di essere una persona che vive in maniera abbastanza attenta. Anche solo la pandemia ha fatto perdere il lavoro a moltissime donne. Questo gioco forza le ha portate ad accettare dei compromessi, a non potersi allontanare da un marito o da un padre violento perché non avevano possibilità economiche. L’emancipazione della donna è legata a doppio filo alla sua indipendenza economica. Poi c’è tutto un tema legato agli affetti per cui molte volte per poter uscire dal proprio paese o realtà patriarcale, si è costretti a rinnegare i propri affetti. Sfido chiunque a poter abbandonare tutta la famiglia a cuore leggero…

Barbara Chichiarelli in una scena della serie Disney+. Foto di Claudio Iannone

Due degli aspetti sottolineati dalla serie sono l’omertà e il giudizio. Queste donne sono giudicate sempre. Dagli uomini ma anche dalle altre donne che giustificano le violenze di cui sono vittime…

Continuano a negare un’evidenza e questo è palpabile. Credo che quel clima omertoso sia dato comunque da una paura, dalle ritorsioni e da tutta una serie di fattori sintetizzabili in “Si è sempre fatto così e si continua a fare così”. Questo l’abbiamo visto anche con Matteo Messina Denaro. Un paese intero che non sapeva nulla. Non è possibile ovviamente. Mortifica la nostra intelligenza e le tante vite di carabinieri e poliziotti perse per la lotta alla ‘Ndrangheta e alle mafie. Penso che molto spesso non si riesca a superare la paura di ritorsioni perché queste donne hanno dei figli. Si dovrebbero mettere contro la propria famiglia con la consapevolezza che magari un giorno il proprio figlio all’uscita di scuola non lo troveranno più. Poi c’è il discorso del come sia possibile che queste donne si facciano del male a vicenda, come sia possibile che non si sia avviato un processo virtuoso di aiuto ed emancipazione madre/figlia. Un discorso complesso fatto di dinamiche psicologiche ma comunque anche legato al fatto che la donna è dipendente dall’uomo. Quindi una madre che vuole cambiare il corso della sua storia e si prende la responsabilità di prendere suo figlio e portarlo via, come vive poi? Con quali soldi?

Barbara Chchiarelli
Barbara Chchiarelli in The Good Mothers. Foto di Claudio Iannone

Il titolo di questa serie pone l’accento sulla maternità. L’elemento che ha spinto tutte queste donne a parlare e che spesso le ha anche condannate a morte. Fondamentale sono state spinte dall’amore, sei d’accordo?

Sicuramente c’è questo alla base e sicuramente le donne che vediamo nella serie a loro modo hanno rotto questo patto malsano e hanno cercato di proteggere i loro figli. Forse questo è l’inizio di un percorso che spero anche altre donne faranno. Un percorso legato alla maggiore consapevolezza che, dove non ci sono degli studi e c’è una povertà culturale, forse nel 2023 questo potrebbe essere compensato dalla possibilità di avere accesso a un mondo virtuale. L’accesso ad un altro paradigma che permetta di creare dei paragoni. Rispetto a venti, quarant’anni fa c’è oggi la possibilità per una donna giovane di avere dei termini di paragone in giro per il mondo che fanno tutt’altro, di vedere banalmente la televisione e trovare modelli diversi da quelli che le circondano. E credo che questo possa creare e abbia creato delle idiosincrasie interne a queste donne. Penso che delle domande cominceranno a girare nelle teste di queste ragazze, perché è evidente che vivono in un altro contesto.

Una scena di The Good Mothers. Foto di Claudio Iannone

Per interpretare il tuo personaggio hai fatto delle ricerche specifiche?

Abbiamo fatto un lavoro di preparazione tutti insieme con varie interviste, incontri e leggendo molto. Per Anna Colace mi sono ispirata a una magistrata vera. Non ho potuto farlo fisicamente perché non ci sono video dei processi o degli interrogatori, ma in qualche modo credo di aver ricalcato una tradizione cinematografica cercando di allontanarmi quanto possibile da alcuni cliché, nonostante il mio personaggio fosse impostato e scritto come un personaggio funzione che porta avanti la drammaturgia e che, a volte, fa dei grandi riassunti perché le questioni legali sono specifiche. E questo forse si vede verso la fine della serie dove ci sono devi piccoli cavilli burocratici che la Colace sfrutta per poter aiutare queste donne. Anche lì capire come funziona la macchina legale e la macchina Stato è stato fondamentale per capire le varie ingerenze che poteva avere il lavoro di Anna sul lavoro degli altri. Ci sono varie procure e il mio personaggio, ad esempio, non poteva avere troppe informazioni sulla storia di Lea Garofalo che apparteneva un’altra procura. Tutto questo studio a monte c’è stato, ma poi c’è stata anche la volontà di mettermi a servizio del progetto e quindi capire che non dovevo fare più di tanto, bastavano quelle parole per portare avanti la storia. Il nucleo del dramma e dell’emotività era all’interno delle storie di queste donne…

Barbara Chichiarelli
Barbara Chichiarelli e le protagoniste di The Good Mothers

Anna Colace si confronta con un mondo molto maschile che tende a guardarla con diffidenza. È qualcosa che hai avvertito anche tu nella tua carriera?

Questo lo avverto tutti i giorni non solo nella mia vita lavorativa ma nella vita personale. Anche io sto cercando il giusto equilibrio, sapendo che soprattutto nel passato ho creato un’immagine di me che non sempre era fedele al mio sentire ma che mi poteva proteggere da certe dinamiche. Anche Anna Colace riporta, non in toto, un atteggiamento maschile perché è l’unico modo in cui può farsi rispettare. Ancora oggi le donne che vengono rispettate sono quelle che riescono a integrare questo modello, questa gestione del potere, e quindi essere autoritarie come gli uomini. Credo sia fondamentale essere autorevoli e non autoritari. Il tema della gestione del potere è fondamentale in questa serie: il potere che gestisco io o il potere che gestisce Giuseppe Pesce. Si deve dare la possibilità di gestirlo in maniera diversa. È un tema molto delicato, una questione che affronto anche nella mia vita personale e mi interrogo spesso su come cambiare le cose. La classica espressione di “una donna con le palle” è una frase oscena che ci fa capire che c’è un problema molto grande. Veniamo aggettivate in questo modo. E no, non abbiamo attributi maschili, non dobbiamo averne e se guardiamo al passato remoto sappiamo che veniamo da società che erano prettamente matriarcali. Quindi in qualche modo il potere l’abbiamo gestito per secoli e secoli. E chissà come com’era gestito da noi… io credo in maniera diversa.

Elio Germano e Barbara Chichiarelli in Favolacce

Rispetto agli inizi, in cui parallelamente ai set continuavi a fare altri lavori, oggi senti di aver raggiunto una sicurezza come attrice?

Sono una persona che non è mai soddisfatta di nulla e questo se vogliamo è un tratto caratteriale sia negativo che positivo, dipende dal punto di vista. Non mi sento di essere arrivata da nessuna parte, sento di essere sempre in discussione e credo ci sia un aspetto positivo in questo perché mi porta a non sedermi mai, a non rilassarmi, a sapere che una carriera si costruisce in una vita, nel sapere che voglio fare tanto altro. Voglio tornare a fare teatro, mi piacerebbe approfondire la regia e la scrittura… In qualche modo studio sempre, cerco sempre di migliorarmi, di ampliarmi. Questa sicurezza non la sento mai, non l’ho mai sentita e forse la sentirò quando mi daranno qualche premio alla carriera (ride, n.d.r.).

Barbara Chichiarelli in Suburra 2

Sei un’attrice che ama rivedersi?

Dipende dei progetti. Non sono una voyeur di me stessa. Poi comunque tendo a giudicarmi talmente tanto che se mi riguardo mi deprimo, lo faccio raramente (ride, n.d.r.). Sono interessata a vedere il lavoro degli altri e come il mio si è inserito nell’economia della storia. Però non sono di quelli che ritornano sulle proprie scene per riguardarsi duecento volte. Anche se, quando non si è spinti da un narcisismo patologico, è interessante per capire come la nostra faccia e il nostro corpo si muovono. Questa è la consapevolezza estrema che ogni attore deve avere. La consapevolezza che io avevo ottenuto nel teatro. Avere la percezione del mio corpo, dov’è nello spazio, che cosa sta facendo e soprattutto che linee sta disegnando. Come se fossi all’interno di un quadro o di un frame. E quindi devo essere consapevole che il mio braccio sta disegnando quella linea e devo esserlo perché devo leggere la macro figura. Nel cinema è stato un pochino più difficile all’inizio per me perché non ero abituata ad avere dei primissimi piani in teatro. All’inizio mi guardavo di più proprio per capire e dire: “No, qui è troppo” (ride, n.d.r.). Non te ne rendi conto ma hai uno zoom su di te. Le reazioni devono essere ponderate anche a questa prossemica diversa rispetto al teatro.

Una scena di Calcinculo

Se tra i protagonisti di M. Il figlio del secolo. Se ti guardi indietro, immaginavi questo percorso?

Sono molto contenta di quello che sto facendo e di quello che ho fatto. Mi metto in ascolto di quello che accade nella mia vita, perché la mia vita è sempre andata avanti in questo modo. In un’altra intervista ho detto che non voglio vincere l’Oscar ma voglio essere felice. Il concetto è un po’ quello. Ho questa passione da sempre, l’ho strutturata e l’ho fatta diventare un lavoro. Magari all’inizio non ci credevo neanche io, ma adesso ci sto credendo sempre di più e credo che tutto sia arrivato per me nel momento giusto, compresa questa serie. E quindi voglio fidarmi di quello che è successo finora nella mia vita: che le cose cioè arriveranno nel momento giusto, quando io sono pronta per affrontarle e voglio che continui questa organicità. Dove mi porterà non lo so, non mi sono data né un limite né degli obiettivi specifici.

Una scena di Piccolo Corpo, il film consigliato da Barbara Chichiarelli

Quale film consiglieresti ai lettori di Hot Corn?

In questo momento storico e per rimanere sul tema di The Good Mothers direi Piccolo Corpo di Laura Samani che in un qualche modo traduce la forza, la passione, la tenacia, l’amore, l’abnegazione femminile. Noi lo conosciamo bene questo moto dell’anima, ci appartiene in qualche modo. Mi sentirei, alla fine di questa intervista, di consigliare questo film a chi non l’ha visto perché ha dentro ha gran parte di quello di cui abbiamo parlato.

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La video intervista per The Good Mothers è a cura di Manuela Santacatterina:

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