MILANO – Il padre di tutti i legal movie. Esagerato? No. A sessant’anni dall’uscita, Anatomia di un omicidio di Otto Preminger non soltanto è ricordato come il prototipo di tutti i gialli giudiziari, ma rimane anche un ineguagliabile esempio di narrazione processuale perfettamente incasellata nelle regole della tensione cinematografica: prove, testimoni e arringhe si susseguono mettendo in dubbio costante la direzione che sembra possa prendere l’esito finale. Paul Biegler (James Stewart) è un uomo di provincia del Michigan, avvocato di non particolare successo, con piccole grandi passioni: la pesca, il jazz, il whisky, le donne.
Il suo migliore amico è Parnell Emmett McCarthy (Arthur O’Connell), un ex giudice alcolizzato, che lo spinge a difendere il tenente Frederick Manion (Ben Gazzara), reo confesso dell’omicidio del gestore di un bar che ha violentato la moglie Laura (Lee Remick). Il punto di partenza è quindi già sorprendente: nessuno mette in dubbio che Manion non abbia commesso il fatto. Preminger si addentra però nella complessità della procedura penale, scavando fino alla possibilità che l’imputato possa essere assolto perché ha agito in seguito a una dissociazione che gli ha causato un impulso irresistibile, non consentendogli di distinguere tra bene e male. Nel gergo giuridico di oggi, era incapace di intendere e di volere. Riuscire a ottenere la sentenza di proscioglimento del tenente si rivelerà un autentico capolavoro difensivo.
Anatomia di un omicidio scioccò nel 1959 il pubblico americano: vennero criticati l’utilizzo ripetuto del termine “mutandine” e i continui riferimenti sessuali presenti nei dialoghi. Il personaggio di Laura (Remick, brava e affascinante), vittima di uno stupro, è ambiguo, divertendosi a punzecchiare e provocare il genere maschile, nonostante il ruolo di moglie. Preminger compie un’autentica rivoluzione femminista, assumendo la posizione di una donna libertina, forse infedele e senz’altro seducente, che deve fronteggiare il predominante sentimento puritano e indignato di un’America ancora contraria al divorzio e all’indipendenza femminile, incarnato in maniera straordinaria dall’avvocato dell’accusa Claude Dancer (George C. Scott, enorme come sempre), legale preparato e aggressivo.
Ma il film non sarebbe un capolavoro se nel ruolo di Biegler non ci fosse un irresistibile James Stewart, dall’aria ironica e un po’ perdente e fatalista, dalla fisicità comica e trascinante, all’apparenza allo sbaraglio, in realtà un uomo che ha assunto quella pacifica consapevolezza di chi nella vita talvolta ha fallito, ma sa di poter riscattarsi. Due curiosità: il giudice del film è Joseph N. Welch, un vero magistrato che fu supervisore alle udienze della Commissione McCarthy; le musiche sono tutte di Duke Ellington, che appare in un memorabile cameo mentre suona al piano insieme a James Stewart.
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