ROMA – Indovina chi viene… in vacanza con gli amici? No, non è un remake sotto falso nome del cult firmato Stanley Kramer, né tantomeno un feel good movie alla Adam Sandler. Il lungometraggio d’esordio di Drew Hancock, Companion, prodotto dall’ottimo e promettente Zach Cregger, regista di Barbarian, tra gli horror più riusciti e feroci degli ultimi anni di cinema, è un oggetto strano, in equilibrio tra commedia nera, thriller sci-fi e ancora una volta horror. Se è vero che il nuovo villain di Ethan Hunt nel franchise inarrestabile, fortunatissimo e spettacolare di Mission Impossible, è qualcosa che tutti chiamano l’Entità e che è di fatto l’AI, è altrettanto vero che la natura folle, senz’altro buffa e sregolata di Companion, non può far altro che svelarsi fin da subito, rompendo un compromesso di grande sadismo e divertimento – ma dalla durata fin troppo breve -, tra narrazione e spettatore. Fino ad allora, impossibilitato a staccare gli occhi dallo schermo, quest’ultimo è comprensibilmente destinato a perdere gran parte dell’interesse precedentemente sostenuto dal mistero e dall’ambiguità di scrittura di Hancock. Infatti, allo svelamento della realtà, dunque la presenza dell’IA, chiave unica e assoluta dell’intero processo filmico di Companion, resta molto poco da scoprire e la curiosità svanisce.

Di lì in poi non resta che attendere e godersi il divertimento pulp, buffo, nerissimo e sregolato che Hancock ha messo in piedi tra spudorato e perfettibile citazionismo cinematografico – Terminator prima di ogni altro titolo, ma anche Lars e una ragazza tutta sua, così come l’ottimo Ex Machina di Alex Garland – e gusto apparentemente Tarantiniano per tutto ciò che è iper violenza filtrata dall’umorismo e dall’eccesso mai realmente drammatico, al contrario consapevole della sua natura sottilmente demenziale e spensierata. Merito evidente dell’esordio di Hancock, la capacità estremamente rara, di non prendersi sul serio per nessuna ragione, inseguendo principalmente la risata e poi la riflessione, se presente, se concreta. Di riflessioni Companion ne suscita eccome. Alcune motivate, altre meno. Eppure l’IA è soltanto l’ultimissimo elemento capace di condurre lo spettatore alla visione sempre più inquietante e ferocemente temibile del nostro presente e ormai prossimo futuro. Poiché la traccia narrativa che più incuriosisce è quella legata all’impossibilità di amare. O meglio, all’incapacità della generazione giovane – a cavallo tra Millennials e Z – di rintracciare nella società la scintilla dell’amore. Hancock sembra gridarlo a gran voce: I giovani non credono più nella concretezza degli incontri casuali, nell’impaccio dei primissimi amori che scoccano all’improvviso, senza alcuna ragione apparente.

Credono piuttosto nell’incontro organizzato e nella dinamica virtuale, che struttura l’emotività, impostandola addirittura sulla base di criteri, gusti e interessi preimpostati. Cosa seguirà? Forse la perdita dell’amore e l’inizio della più totale immaturità emotiva. Niente più cuori e istinti che dialogano tra loro, piuttosto lo sfogo carnale e la necessità di avere qualcuno, o meglio qualcosa, capace di rimpiazzare un ruolo, pur non essendo affatto tale. Necessaria per il godimento parziale del lungometraggio di Hancock, una certa circospezione rispetto all’IA e al ruolo del virtuale, che è incessante, se non addirittura totalizzante in Companion. Forte di un cast giovane – spiccano le prove di Sophie Thatcher e Jack Quaid -, il film di Hancock incassa le inevitabili conseguenze, derivate dalle brevità istantanea del materiale narrativo a disposizione – un cortometraggio sarebbe stato di gran lunga più funzionale -, ritrovando nella stilistica e negli estetismi esilaranti, sanguinolenti e feroci, uno spazio enorme nel quale esprimersi.

I corpi e volti degli interpreti sono poi orrendamente insozzati dalle primissime sequenze, fino al termine dei titoli di coda e lo spettatore viene chiamato a partecipare in loro compagnia, ad un gioco al massacro senz’altro curioso, sadico e di enorme cura per tutto ciò che è visivo e mai narrativo. Immaginate Her di Spike Jonze, in chiave horror e tremendamente demenziale, seppur diabolica e sadica. Avrete così un’idea potenzialmente accurata, di cosa possa – e voglia – essere di fatto Companion di Drew Hancock. L’IA è già accanto a noi, ci ama, ascolta e illude, per poi farci a pezzi. No, Hancock non passa per la metafora e il massacro è letterale, tanto delle emozioni, quanto dei corpi.
- VIDEO | Qui per il trailer di Companion:
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