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Ex Machina | L’intelligenza artificiale, l’etica e il confine tra uomo e robot

Aspettando Civil War, rileggiamo il potente esordio di Alex Garland. Su Prime Video

Alicia Vikander, macchina o donna? Una scena di Ex Machina.

ROMA – Ma a cosa serve esattamente il test di Turing? Semplice: serve a capire se una macchina sia o meno in grado di pensare. Se un essere umano, posto di fronte ad un computer, non capirà di stare interagendo con una tecnologia, allora il test potrà dirsi superato. È su questo semplice, quanto in realtà rivoluzionario, procedimento che Alex Garland ha costruito il suo film d’esordio: Ex machina. L’elaborazione stratificata di uno sviluppo che segna il sempre più delicato confine tra chi siamo e cosa saranno per noi le macchine domani, nel doppio legame tra creatore e creatura, umano e non umano.

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Domnhaal Glesson è tra i protagonisti di Ex machina

È Ava il nome della macchina protagonista – interpretata da Alicia Vikander – ed è il giardino dell’Eden che l’aspetta appena fuori dalla prigione ultra-moderna in cui è stata assemblata. È lei l’oggetto da prendere in esame eppure, in Ex machina, è il continuo ribaltarsi delle parti che rende l’esperimento – e il film – sempre più intrigante. Partendo dalla riflessione, da anni pregnante, sul diritto o meno di generare la vita anche in esseri inanimati, Ex machina controbilancia la propria visione interrogandosi sul potere, altrettanto morale, di toglierla, passando dalla storia degli dei a quella dei distruttori.

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Il regista e sceneggiatore Alex Garland sul set del film con Oscar Isaac

Ma è il paradosso che, tanto nella pellicola di Garland quanto nell’esplorazione della coscienza artificiale, va allestendo un inganno piuttosto ben congegnato. Quell’intenzione di voler infondere lo spirito in un ammasso di fili e ingranaggi per renderlo finalmente autonomo, eppure continuare ad esigere la sua sottomissione e di applicare su esso il massimo controllo. Un’illusione che Ex machina evidenzia ad ogni conversazione con l’automa Ava e nelle diatribe, scientifiche e ideologiche, dei protagonisti, Domnhaal Gleeson e Oscar Isaac.

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Ava nella sua “prigione”

Ex machina non segna la probabilità dell’arrivo delle I.A., ma ne conferma l’imminente entrata nella nostra realtà, cominciando ad interrogarsi sulle interazioni che eserciteranno le macchine sull’essere umano e vedendo fin dove si potranno spingere i sentimenti degli uni per gli altri, umani verso computer e viceversa. Perché è fino al dolore che Alex Garland porta i suoi personaggi, alla compassione per qualcosa di realizzato e destinato, anche ora con la sua mente, a venir spento e nuovamente collaudato. Ma è soprattutto nell’opposto che il regista e sceneggiatore trova la sua migliore intuizione, nella comprensione non solo di trovarsi di fronte a una coscienza artificiale pensate, bensì renderla in grado, addirittura, di manipolare.

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I volti di Ava

Dal topos universale della creazione, la valutazione a cui viene sottoposta Ava diventa un passaggio fondamentale per l’intelligenza artificiale, che la porterà fino alla ri-creazione di se stessa e a quel mondo prossimo che ci sta aspettando. Quello in cui cammineremo vicino ad individui o macchine senza più nemmeno sapere chi avremo accanto, mettendo anche in dubbio la nostra materia fatta di ossa e sangue. Un destino delineato in quel grande incrocio di una città popolata sul finale di Ex machina (a noleggio su Prime Video e Apple TV+), in cui poter scorgere tutti i tipi di umanità.

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