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Cent’anni di Solitudine | Alex García López, Gabriel García Márquez e una grande sfida

La storia, Macondo, Aureliano Buendía: Il capolavoro letterario prende finalmente vita su Netflix

Claudio Cataño è il Colonnello Aureliano Buendía nell'adattamento di Cent'anni di Solitudine di Gabriel García Marquez: Su Netflix
Claudio Cataño è il Colonnello Aureliano Buendía nell'adattamento di Cent'anni di Solitudine di Gabriel García Marquez: Su Netflix

ROMA – Cent’anni di solitudine è la storia di sette generazioni della famiglia Buendía, tormentata dalla follia, dall’amore impossibile e incestuoso, dalla guerra, dall’incapacità di sfuggire al passato e dalla paura di una maledizione che li condanna alla solitudine per cento anni nella città immaginaria-ma-reale di Macondo. Girata interamente in Colombia e in lingua spagnola, la serie – adattamento dell’immortale capolavoro letterario di Gabriel García Márquez del 1967 diretta da Laura Mora e Alex García López e con protagonisti, tra gli altri, Claudio Cataño, Jerónimo Barón, Marco González, Leonardo Soto, Susana Morales, Ella Becerra – è finalmente arrivata su Netflix dopo una gestazione lunghissima e un’attesa spasmodica.

Claudio Cataño in un momento di Cent'anni di Solitudine
Claudio Cataño in un momento di Cent’anni di Solitudine

Non fosse altro perché è dal (lontano) 2019 che si parla dell’adattamento del romanzo di García Márquez. Ovvero da quando il colosso di Los Gatos è riuscito ad acquisire i diritti di utilizzazione economica dell’opera dopo una trattativa complessa con i figli dello scrittore: Rodrigo García e Gonzalo García Barcha che qui figurano come executives dell’ambizioso progetto seriale. Una scelta inusuale per quella che era stata fino a quel punto la tradizione della famiglia: «Per decenni nostro padre non ha voluto vendere i diritti cinematografici di Cent’anni di solitudine. Pensava che non fosse possibile adattarlo nei limiti temporali di un lungometraggio e che produrlo in una lingua diversa dallo spagnolo non avrebbe reso giustizia al romanzo».

Un estratto dalla locandina ufficiale della serie
Un estratto dalla locandina ufficiale della serie Netflix

Da qui la scelta dell’adattamento in formato seriale: «Tuttavia, viviamo nell’età d’oro delle serie e, con sceneggiatori e registi di grande talento, l’alta qualità cinematografica dei contenuti e l’accettazione di programmi in lingue straniere da parte del pubblico mondiale, questo è il momento giusto per offrire un adattamento». Quello compiuto da García López e Mora è, infatti, il primo adattamento ufficiale e a pieno titolo dell’opera in cinquantasette anni dopo la libera rielaborazione (autorizzata) compiuta da Shûji Terayama nel 1984 con Farewell to the Ark. Nulla, però, che possa essere inteso come un vero e proprio adattamento di Cent’anni di Solitudine, che parli, cioè, di Colombia e delle mitologiche sette generazioni di Buendía tra i solitari confini di Macondo.

Marco González e Susana Morales in un momento della serie
Marco González e Susana Morales in un momento della serie

Chi lo ha letto lo sa già, chi non lo ha fatto (forse) vi si vorrà avvicinare dopo il percorso seriale di otto puntate intessuto da García López e Mora, ma Cent’anni di solitudine è davvero molto più di un semplice romanzo. È un’interpretazione metaforica della storia della Colombia dalla sua fondazione allo Stato contemporaneo tra il 1830 e il 1930. Quindi il lento inserimento della civilizzazione in un paese poverissimo e rurale, l’arrivo del cinema, dell’automobile, la Guerra dei Mille Giorni (1899-1902), l’egemonia economica della United Fruit Company e le conseguenze in America Latina dell’ideologia promossa dalla cosiddetta Dottrina Monroe a proposito di indipendenza e Stato di Diritto. Eventi storici che García Márquez percorre attraverso la lente metaforica degli occhi e dei corpi dei Buendía

Una scena di Cent'anni di Solitudine
Una scena di Cent’anni di Solitudine

Un’opera che è manifesto letterario intramontabile di realismo magico resa nelle corde di un microcosmo arcano e segregato che racconta di isolamento, arretratezza e progresso, di magia e sogno, alchimia ed esoterismo, insonnia e oblio dell’anima, solitudini inverosimili e tragedie umane e del ricercare tracce di Dio in ogni angolo di Macondo. Terra fantastica dove i confini tra la vita e la morte sono labili. Il problema è che per Cent’anni di solitudine García Márquez riuscì a settare un tono narrativo-epico, tanto familiare quanto impegnativo alla lettura – rigoroso, classico e al tempo sperimentale, crudo e raffinato, tutto percorso di prolessi che svelano i destini di un universo di solitudini incrociate – che è praticamente impossibile da replicare per immagini (tele)filmiche.

Il Colonnello Aureliano Buendía in un'immagine promozionale
Il Colonnello Aureliano Buendía in un’immagine promozionale

Non a caso la scelta di García López e Mora sta proprio nell’alleggerire la complessità linguistica di García Márquez in funzione dello scorrere degli eventi del racconto – diviso in due parti (Parte II è ancora da annunciare) – lavorando più sulla linearità dell’intreccio e su un registro più vicino al melò/soap opera che non all’epica realista. Eppure percorso di immagini evocative lungo il suo avvincente sviluppo seriale dal ritmo dosato, Cent’anni di solitudine, che cattura l’attenzione e catapulta lo spettatore sin dentro le viscere di Macondo e dei suoi uomini. Un viaggio che vale la pena intraprendere e (ri)scoprire, in ogni sua forma e registro: una lettura (e da oggi una visione) che proprio non vuole smettere di stupire.

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