MILANO – Una donna cammina in un campo di grano, improvvisamente inizia a ballare seguendo un’immaginaria musica portata dal vento, una danza bizzarra in cui si celano tutti i suoi stati d’animo. È estremamente poetica la sequenza con cui Bong Joon-ho inizia il suo quarto film, Madre, presentato nel 2009 nella sezione Certain Regard di Cannes ma arrivato in sala in Italia soltanto nel 2021, sulla scia del successo di Parasite. Così come, in qualche modo, tutta la vicenda che vediamo in scena ha qualcosa di poetico. Quella donna è la madre, non ha altro nome se non questo nel film, ma è tutto ciò che serve a identificarla. Protagonista assoluta Kim Hye-ja, icona del cinema e della tv coreana che qui offre una delle sue più grandi interpretazioni.

Consapevolmente o no, quello che il pluripremiato regista di Parasite ha creato è un ritratto terribilmente simile a una trave portante del cinema italiano. La madre coreana ha un unico figlio 27enne, Do-joon, ingenuo e inesperto, e vive per lui. Non c’è altro nella vita di questa donna, se non assicurarsi che il ragazzo viva al meglio e che non gli manchi niente. Un’attenzione troppo apprensiva, claustrofobica verrebbe da dire, che non lascia spazio per altro. Vi ricorda qualcuno? Rinfrescando un po’ la memoria, il personaggio di Kim Hye-Ja in Madre (lo trovate in streaming su Prime Video) sembra proprio la versione femminile del Giovanni Vivaldi di Alberto Sordi in Un borghese piccolo piccolo, uno dei titoli manifesto di Mario Monicelli che ha fatto scuola.

Do-joon, meno scaltro di quanto ci si aspetterebbe da un ragazzo della sua età, viene accusato dell’omicidio di una giovane ragazza. Cosa resta da fare alla madre – lasciata sola dalla polizia convinta di aver già chiuso il caso – se non partire, solitaria guerriera, alla ricerca del vero assassino? Quello di Bong Joon-ho è un racconto che analizza nel profondo il rapporto tra madre e figlio, quel rapporto alla base di tutte le relazioni umane e che a volte può diventare anche assoluto, fatto di amore, irritazione e ancora amore. Il regista lascia qui da parte fatti legati alla cronaca o alla società coreana, nemmeno l’omicidio riesce a diventare protagonista della storia. Rimane sullo sfondo, il pretesto per mostrare tutta la dedizione di una donna verso la vita che ha messo al mondo.

Il centro è tutto lei, questa madre armata solo dello smisurato amore che nutre per il figlio in una lotta contro tutti: le indagini, la polizia, le prove schiaccianti e il mal pensare delle persone. Non esistono limiti, per lei. Non c’è umiliazione o gesto estremo che tenga, nessuna responsabilità o dovere che venga prima. Fino a che punto una madre può spingersi per salvare suo figlio? L’istinto materno che emerge dalla regia di Bong Joon-ho è qualcosa di unico, a tratti spaventoso e annichilente: «Volevo fare un film che scavasse in profondità, in ciò che è caldo e potente, come il cuore di una palla di fuoco». Molto prima della disturbante psicologia di Parasite, l’intensità emotiva di Madre ci colpisce nel profondo, lasciando un senso di malinconia dolceamaro, difficile da sopportare e allo stesso tempo magnifico. Un film meraviglioso che non smette di stupire e ammaliare.
- Parasite | Anatomia di un capolavoro: la metafora umana di Bong Joon Ho
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Qui il trailer di Madre:
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