MILANO – Parigi non smette mai di esercitare il suo fascino, qualunque sia la storia a cui si ritrova a fare da sfondo, diventa sempre protagonista al pari dei personaggi. Questa volta, a cadere nelle lusinghe e nella bellezza della Ville Lumière è un’adorabile Lily Collins nei panni di Emily Cooper, la protagonista della serie targata Netflix Emily in Paris, che ha riscosso un enorme successo e allo stesso tempo suscitato non pochi dibattiti tra il pubblico. Prodotta da Darren Star, il cui nome è per sempre legato allo show cult degli anni Novanta Sex and the City, la serie sembra partire dagli stessi presupposti e dirigersi nella stessa direzione, cosa che a molti ha fatto storcere il naso. Ma andiamo con ordine.

Emily è una giovane americana di Chicago e lavora nel mondo della comunicazione. Il suo capo, Madeline, rimane incinta e Emily viene mandata a Parigi per sostituirla nei mesi di assenza. Tra la moda, gli stereotipi sui francesi e un mondo idilliaco che sembra esistere solo nell’universo di Emily è vero, la serie sembra essere un Sex and the City che incontra Il diavolo veste Prada (come da molti è stata definita), solo con uno scenario diverso e in aggiunta un ruolo non indifferente giocato da social media e influencer. Ma in fin dei conti, Emily non deve necessariamente essere la nuova Carrie Bradshaw.

In parte perché è impossibile anche solo pensare di rifare quello che Sarah Jessica Parker ha dato al suo personaggio, in parte perché la serie non pretende affatto di essere l’erede di quello show, né tantomeno essere un commentario sociale su come i giovani siano spesso obbligati a cambiare Paese per lavoro o su come scalare le vette del successo sia molto più difficile di quanto viene mostrato. Emily in Paris è una favola mondana, e come tale deve essere presa. Piena di clichés e stereotipi sulla capitale francese, come d’altronde lo era già stata New York prima di lei, focalizzata sul glamour, sul lusso e sugli incontri fortuiti in amore. Ma qui come allora, tutto è costruito con ironia.

Ed essendo una favola, Emily non poteva che essere la principessa di cui tutti si innamorano, i cui desideri si avverano a quanto pare senza il minimo sforzo, per cui la vita sembra sempre filare per il verso giusto. Il divario tra noi e lei è grande: è quello che forse tutti in fondo sogniamo, ma sappiamo che nella vita reale è veramente difficile – se non impossibile, a volte – da realizzare. Alla fine non è poi tanto diversa da tutte quelle commedie romantiche dove la prescelta di turno incontra il suo principe azzurro e, tra fraintendimenti e dichiarazioni d’amore spropositate, alla fine corona il suo sogno.

Il territorio in cui si muove è lo stesso: non serve che sia un ritratto fedele della realtà, basta che per quell’ora e mezza o per quei dieci episodi sia in grado di trasportare in un altro mondo, possibilmente più positivo del nostro. Parte del potere del cinema è anche questo, dopotutto. D’altronde, era la scena di un film alla televisione in Ratatouille, mentre Remi guarda sognante lo spettacolo della città di sera, che diceva «Quale posto migliore di Parigi, per sognare». E allora è questo che Emily in Paris ci invita a fare, lasciando in disparte, appena fuori i bordi dello schermo, la domanda se la sua finzione sia abbastanza reale o meno.
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Qui potete vedere il trailer di Emily in Paris:
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