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I fantasmi dell’odio, Central Park e quella serie firmata Ava DuVernay: When They See Us

La storia drammatica (e vera) dei cinque ragazzi accusati ingustamente di un crimine mai compiuto

CENTRAL PARK FIVE

Il 1989 e Central Park North hanno entrambi qualcosa in comune: fanno da confine. Sono l’inizio e la fine di qualcosa. L’apice più a nord di Central Park delimita l’isola di Manhattan. A sud le luci, le Avenue, il traffico. Dalla 110th in su, c’è un’altra cosa, mutata negli anni e diventata simbolo della gentrificazione: Harlem, con una magica unione tra popoli, colori e culture; il Bronx, che della durezza di una volta non vi è quasi più traccia. Cambiamenti ed evoluzioni che, appunto, sono cominciati proprio trent’anni fa, probabilmente il periodo più oscuro di New York, quando la criminalità violenta registrava oltre tremila crimini al giorno. Un’enormità. Discrepanze territoriali, l’odio razziale, i poveri contro i miliardari di Wall Street.

Asante Blackk è Kevin Richardson, uno dei Central Park Five

Poco ha potuto il sindaco Ed Koch, pochissimo ha fatto David Dinkins, primo sindaco afro-americano di Gotham che durò appena tre anni, lasciando campo libero a Rudolph Giuliani, artefice di quella tolleranza zero che ripulì New York. Ma ogni pulizia, soprattutto all’inizio, portata avanti in modo scellerato e intollerabile, fa le sue vittime innocenti. Tra loro cinque ragazzi – quattro afro, uno ispanico – protagonisti di quello che è stato “uno dei crimini di più ampia risonanza degli anni ottanta”, riassumendo la tagline del New York Times. Solo che loro, Raymond Santana, Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam e Kharey Wise, quella notte del 19 aprile del 1989, non hanno commesso nessuno stupro nei confronti della Central Park Jogger, ritrovata agonizzate poco più a nord del lago The Reservoir, quando ancora il polmone verde era un bosco sporco e cattivo.

Il dramma di When They See Us

Quella storia, la storia dei Central Park Five, è diventata oggi una serie tv, When They See Us, appena arrivata su Netflix. In una parola? Straordinaria. Nella scrittura, nella messa in scena, nella tecnica teorica del racconto; nella pratica stilistica di immagini forti ed empatiche, capaci di tirare calci allo stomaco e al cuore. Basterebbe la luce della fotografia di Bradford Young (e ve lo avevamo già raccontato qui), color petrolio, asfissiante nella caserma della polizia così come nell’aula di tribunale. O la macchina da presa, che assimila i volti, i silenzi, lo sgomento dei protagonisti rigorosamente dal basso. Non c’è mai aria, la narrazione resta addosso come uno di quegli agenti capaci di mettere alla sbarra dei ragazzini innocenti, con l’unica colpa di essere nati lì, in quel confine.

Ava DuVernay e Jharrel Jerome – Kharey Wise – sul set

Creata e scritta da Ava DuVernay, nonché prodotta da nomi come Jeff Skoll, Oprah Winfrey e Robert De Niro (con la Tribeca Productions), è quasi scontato dire che When They See Us non è solo un’altra serie tv. Qui c’è di più: il romanzo drammatico di cinque ragazzi, la loro epopea che li ha schiacciati, facendoli implodere in un calvario durato fino al 2002. Anno in cui, quasi casualmente, sono stati scagionati. Se è eccezionale la sceneggiatura, gli interpreti sono incredibili: Jharrel Jerome, Jovan Adepo, Michael K. Williams, Logan Marshall-Green, Joshua Jackson, Blair Underwood, Vera Farmiga, John Leguizamo, Felicity Huffman, Niecy Nash, Aunjanue Ellis. Pazzesco il piccolo Asante Blackk, che interpreta, da ragazzino, uno dei cinque ragazzi, Kevin, che voleva suonare la tromba come Miles.

Central Park Five
Un’immagine di When They See Us: Ethan Herisse è Yusef Salaam nella serie

Quattro puntate piene ma intime, più di dieci anni riassunti in quasi cinque ore. Il tempo che passa, tra aule di tribunale, processi da rifare, le confessioni che non stavano in piedi ma che inflissero ai ragazzi aspre pene e fantasmi infamanti che li avrebbero tormentati, notte dopo notte. La rassegnazione. Allora, per capire quanto sia necessaria oggi una serie del genere, pure se New York non è più quella di trent’anni fa, la scena chiave – sconvolgente – è nella prima puntata: il montaggio alterna le deposizioni dei ragazzi, in quaranta minuti di altissima qualità, dove il potere gioca con i poveri, gettandoli in una guerra d’odio che continua a non avere fine. Lì, a Central Park North, frontiera indipendente e lontana, dove l’inno nazionale è Fight the Power dei Public Enemy.

Qui potete vedere il trailer di When They See Us:

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