ROMA – Il sistema, i pesci grossi, la paura. Tre elementi, tre colonne che sorreggono la scrittura marmorea di un prision drama – come dicono negli USA – in cui il senso drammatico è acuito dagli spazi angusti e sudici di una location che, a guardar bene, è la protagonista assoluta. Sono i corridoi del carcere a dettare la legge, sono le celle a custodire innumerevoli universi in cui la disperazione si mescola alla sopravvivenza. Cosa più importante: le leggi esterne, le leggi dello Stato, non hanno nessun valore. Da questo spunto Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini, Massimo Reale, Davide Serino hanno plasmato Il Re, (ennesima) ottima serie Sky Original che ruota attorno ad un carcere di frontiera, il San Michele, e attorno al suo mefistofelico direttore, Bruno Testori, interpretato da un ruvido e oscuro Luca Zingaretti.

La presenza scenica di Bruno, di per sé un personaggio perfettamente contornato e sfumato (questo a rimarcare lo stato di grazia di una certa serialità italiana), vale da sola la visione della serie (otto episodi diretti da Giuseppe Gagliardi, che aveva dimostrato bravura già nella trilogia 1992, 1993 e 1994); silenzioso, tagliente, eppure determinato a mantenere l’ordine nel (suo) carcere, attuando un regime in cui si tengono in precario equilibrio il terrore e la libertà – per quanto si possa parlare di libertà in un carcere. Testori, con il tempo, ha perso la bussola, è schiavo del suo lavoro, tanto da dormire in ufficio e ossessionato dalla sua squadra di secondini – in cui spicca la spregevole agente Sonia, con il volto di Isabella Ragonese –, il suo regno è messo a ferro e fuoco quando scoppia una guerra, accesa dall’uccisione del Comandante Iaccarino (Giorgio Colangeli) con cui aveva un forte legame d’amicizia.

Chi è stato? Perché è stato ucciso? Che segreti nascondeva Iaccarino? E perché era così importante per Testori? Sul caso, che fa de Il Re una serie crime a regola d’arte, indaga il Pubblico Ministero (Anna Bonaiuto), scoperchiando, non senza fatica, il vaso di Pandora del San Michele: compromessi criminali, tracce illecite, carenza strutturali e umane, una frattura interna tanto marcata da essere incolmabile. Nonché viene fuori la vita deragliata di Bruno Testori, ormai amalgamato in quel sistema che non differenzia il dentro ed il fuori del carcere. Il protagonista Testori, fulcro assoluto, ripete di “essere dalla parte giusta delle sbarre”, ma la sua convinzione distorta lo porta a scontrarsi con l’idea di giustizia personale (con il bene e con il male che, a più riprese, incrociano la stessa linea), dovendo così affrontare un inferno da cui è impossibile uscire indenni. In questo senso, ecco l’incubo: anche noi ci ritroviamo in cella. Detestiamo Testori ma, intanto, non possiamo non ammirarlo, addirittura comprenderlo.

Il Re, dunque, è una serie feroce, straordinaria sia nella messa in scena sia nello script (da Il Miracolo a Gomorra, da Anna a Christian: possiamo tranquillamente scrivere che Sky non sbaglia uno show!). Ed è intelligente la scelta di non collocare geograficamente il San Michele, ma anzi sfruttando la sua struttura medievale come se fosse un avamposto che divide il mondo libero da quello infettato e decadente, represso e rinchiuso all’interno di quattro mura in cui vige la monarchia assoluta di un uomo rigirato su sé stesso. Per questo possiamo parlare di frontiera, come se fossimo in un western in cui il bandito e lo sceriffo si scambiano, scena dopo scena, il ruolo idealizzato, superando le etichette di buoni e di cattivi. Una frontiera selvaggia e spietata, dove la bontà e la luce sono stati seppelliti sotto una coltre umana perversa e irregolare. Insomma, l’avrete capito: Il Re è una serie da non perdere.
Il Re, la nostra intervista a Luca Zingaretti:
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