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Christian | I miracoli di Edoardo Pesce, la visione di Stefano Lodovichi e una serie imperdibile

Una serie ambiziosa dalla scrittura ricchissima e visivamente impeccabile sorretta da un cast perfetto

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Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, protagonisti in Christian

ROMA – Sono all’incirca nove i chilometri in macchina che separano il Serpentone del Corviale, esempio fallito di urbanistica alternativa degli anni Settanta, al Vaticano, simbolo della cristianità. Due luoghi agli antipodi. Un caotico melting pot di cemento il primo, un tripudio di bellezza architettonica il secondo. Due strutture imponenti che ben sintetizzano le due anime di Christian, serie Sky Original in sei episodi ideata da Roberto “Saku” Cinardi e diretta insieme a Stefano Lodovichi, qui anche in veste di showrunner. Una serie che intreccia dramma, commedia, crime e soprannaturale ad una componente supereroistica.

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Edoardo Pesce e Antonio Bannò in una scena di Christian. Foto di Matteo Graia

Ma questa volta il protagonista non è un nerd alle prese con invisibilità o forza sovraumana. Il protagonista di questa storia è un picchiatore – il Christian del titolo interpretato magnificamente da Edoardo Pesce -, uno dei tanti cresciuto in quella Città-Palazzo che le mani le ha sempre usate come unico mezzo di comunicazione. Il suo modo di farsi capire? Pugni e ossa rotte. Un povero cristo di periferia che, improvvisamente, si ritrova faccia a faccia con il suo destino. Quelle mani, strumento di violenza, diventano strumento di speranza quando vi compaiono due stimmate. Da quel momento Christian diventa un simbolo di riscatto per una comunità di ultimi capace di compiere miracoli. Un potete che fatica a comprendere ed accettare.

Silvia D’Amico è Rachele. Foto di Matteo Graia

Scritta da Enrico Audenino, Valerio Cilio, Renato Sannio e Patrizia Dellea e liberamente ispirata a Stigmate, la graphic novel di Claudio Piersanti e Lorenzo Mattotti, Christian è ricchissima in scrittura di elementi biblici – asinelli, serpenti, acqua, resurrezioni … – che si traducono in una regia che gioca a creare un’atmosfera pop e pulp che sintetizza visivamente il doppio che attraversa il racconto. Se il Bene e il Male è un concetto «fluido come la carbonara», ecco che il cemento lascia spazio ai colori, la violenza alla speranza, il buio alla luce.

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Una scena di Christian. Foto di Matteo Graia

La Città-Palazzo che fa da sfondo alle vicende ha in sé qualcosa di arcaico e futuristico, un monolite che al suo interno contiene tutto il modo e che le luci al neon, i tagli architettonici e le riprese dall’alto contribuiscono a rendere ancor più suggestivo. In questo la fotografia di Benjamin Maier, la scenografia di Massimiliano Sturiale e i costumi di Veronica Fragola sono fondamentali nell’economia del racconto degli spazi, nella contrapposizione continua che muove la storia ( in quest’ottica si inserisce anche la colonna sonora firmata da Giorgio Giampà, premiata a Canneseries dove la serie era in Concorso). Da un lato il contesto criminale in cui è cresciuto il protagonista, dall’altro quello delle stanze più alte (e austere) del Vaticano.

Gabriel Montesi è Penna. Foto di Matteo Graia

Per chi scrive Christian non poteva esistere se non a Roma, nonostante l’universalità del racconto. E non perché il sacro e il profano da sempre si fondono in virtù di quella fluidità che torna a più riprese nella serie. Ma per quell’ironia disincantata che riesce ad alleggerire ogni situazione, per quell’umanità profonda che convive con la desolazione materiale ed emotiva. E in quest’ottica meritano un capitolo a parte i personaggi, e di conseguenza gli attori, di questa serie. Dal protagonista con il volto e il corpo di un Edoardo Pesce che regala al suo Christian sfumature che ne fanno un essere umanissimo, difettoso, tenero passando per Claudio Santamaria nei panni di Matteo, emissario del Vaticano ossessionato dalla verità e profondamente in crisi.

Claudio Santamaria è Matteo. Foto di Matteo Graia

Ma Christian è un racconto corale e la sua bellezza risiede anche nella rotondità e tridimensionalità dei tanti co-protagonisti che l’arricchiscono. La Rachele di Silvia D’Amico, faro per Christian al pari dell’Italia di Lina Sastri, madre persa e ritrovata, passando per Lino e Davide, coppia di criminali padre e figlio interpretati da Giordano De Plano e Antonio Bannò fino al veterinario Tomei di Francesco Colella e, ancora, il Penna Gabriel Montesi, l’Anna di Milena Mancini e il Biondo di Giulio Beranek. Sono personaggi dolci, spietati, grotteschi, teneri, chiusi, schiacciati, spaventati, liberi, cattivi. Sono umani e fallibili ed è impossibile non capirli, “sentirli”, anche quando non si condividono le loro azioni.

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Edoardo Pesce e Giordano De Plano in una scena di Christian. Foto di Matteo Graia

Camera a mano, soggettive, movimenti lenti, pini sequenza, flashback (le riprese “analogiche” anni Ottanta sono ricostruite in modo impeccabile), la regia di Christian è ambiziosa – e si inserisce insieme a Il Miracolo e Anna di Niccolò Ammaniti tra le produzioni più riuscite ed esportabili della nostra serialità – così come i temi che tocca. Destino, fede, speranza, dipendenze, riscatto, perdono. Un racconto che pone una serie di domande importanti mentre gioca con i generi e i registri (e si diverte nel farlo) ma che, più di ogni cosa, ci ricorda che la vita può cambiare. Sta a noi decidere se il (nostro) destino è una condanna o una possibilità.

La video intervista a Edoardo Pesce è a cura di Manuela Santacatterina:

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