LOS ANGELES – Da Mezzi Po, paese in provincia di Torino, a Hollywood, dove “colora” film di gran successo, incluso Green Book, l’ultimo miglior film agli Oscar (appena arrivato su CHILI, lo trovate qui). Per chi ama il cinema, è una storia romantica quella di Walter Volpatto. Nasce da una famiglia contadina, lavora in fabbrica e la sera studia per diventare perito elettronico. «Così sono entrato in Rai dove ho lavorato per 10 anni» racconta a Hot Corn da un caffè nel cuore di Hollywood, a pochi passi dallo storico teatro Pentages. «Sono arrivato in America per fare training a chi comprava i nuovi macchinari per la colorazione dei film: sarei dovuto restare due settimane e invece, 15 anni dopo, eccomi ancora qui». Se la funzione del colorist è quella di dare il look finale a ogni fotogramma di film, Walter Volpatto è l’occhio sia tecnico che artistico dietro colossal come Interstellar, Dunkirk, Star Wars: L’Ultimo Jedi, oltre che dei nuovissimi La Llorona: Le Lacrime del Male e Beach Bum, il film di Harmony Korine con Matthew McConaughey protagonista. «Con Beach Bum mi sono divertito molto perché ho avuto la possibilità di sperimentare tecniche stilistiche diverse, al punto che certe scene dovevano quasi sembrare un dipinto».
IL COLORISTA «L’idea è che se lo spettatore vede ciò che stiamo facendo allora significa che ci siamo spinti troppo oltre. La mano del colorista deve essere invisibile anche se puoi percepire il suo lavoro a un livello inconscio. Quando ho iniziato 15 anni fa, l’estetica da perseguire era quella di riprodurre il risultato filmico ovvero avvicinare il digitale al processo chimico della pellicola, ma col tempo ci si è svincolati da questa necessità e si è aperta la porta a un’immensità di stili. Purtroppo noto che le nuove generazione di coloristi hanno la presunzione di sapere già tutto. Pensano di creare il film da soli ma non funziona così, sei un ingranaggio di un’intera produzione e il film si decide in vari fasi: nella pre-produzione, nella costruzione del set, nel costume design, nel mettere le luci, girare le riprese ecc. Saper comunicare è una parte fondamentale di questo lavoro».
STAR WARS «A volte dicono sia difficile lavorare con questo o l’altro regista, ma non è vero. Vale per tutti la stessa regola: non raccontare cazzate, ascoltali e rispetta il loro senso artistico. L’hobby di Steve Yedlin, il direttore della fotografia di Star Wars con cui adoro lavorare, è la scienza dei colori, dunque è uno con le idee molto precise su ciò che vuole. Per Star Wars: L’Ultimo Jedi ha fatto un lavoro di ricerca estetica durata 10 anni per creare una palette che si rifacesse ai vecchi episodi della saga».
CHRISTOPHER NOLAN «Nolan? un amante del processo filmico tradizionale e Dunkirk è stato girato come fosse un film degli Anni Novanta ma con due formati, uno IMAX e uno in 5mm. Abbiamo lavorato per mesi per far sì che la copia digitale andata nelle sale di tutto il mondo fosse più vicina possibile a quella che era la hero print del processo tradizionale. Nolan lavora così. Altri cinematografi come Emmanuel Lubetzki conoscono sia le caratteristiche della cattura, sia cosa si può fare in post produzione e mettono insieme questi due mondi per creare un’esperienza visuale ancora differente».
GREEN BOOK «Noi colorist in genere vediamo il film in una fase avanzata di editaggio per cominciare a capirne lo stile e la storia. E l’estate scorsa quando ho visto Green Book per la prima volta, mi sono subito reso conto che sarebbe andato lontano. Ci abbiamo lavorato con tutta la professionalità e la passione possibile e quando è arrivata la nomination agli Oscar per un attimo abbiamo sognato che vincesse. Ma quella sera Cuarón continuava a prendere una statuetta dopo l’altra e ho pensato: “Non si può fare!”, quindi è stata una bella sorpresa. Credo ci fossero motivi anche politici dietro la scelta del vincitore perché Roma era un film Netflix».
OSCAR SI O NO «Nell’Academy si dibatte ormai da tempo se ci debba o meno essere un Oscar per la nostra categoria, soprattutto oggi che il nostro intervento può diventare decisivo, e da due anni accetta fra i suoi membri i colorist per il loro contributo artistico. Dunque cominciano a riconoscere che non siamo solo dei tecnici che puliscono l’immagine. Il film che ha sollevato il vaso di Pandora è stato The Revenant, in cui sono stati impiegati mesi e mesi di post produzione per rendere ogni shot perfetto. E uno comincia a chiedersi, è merito della cinematografia o c’è anche altro?».
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