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Valeria Bruni Tedeschi, o del perché amiamo il suo talento innato

Francia, Italia e viceversa. Da Paolo Virzì a Fabrizio De André. Il profilo di un’attrice incredibile

Valeria Bruni Tedeschi, il profilo di un'attrice incredibile
Valeria Bruni Tedeschi, il profilo di un'attrice incredibile

MILANO – Sguardo sperduto, occhi azzurro ghiaccio, portamento elegante, classe innata, voce flebile e delicata quasi prossima a rompersi da un momento all’altro. Queste poche suggestioni hanno nel cinema il volto fragile e tenero di Valeria Bruni Tedeschi. Attrice, sceneggiatrice e regista poliedrica ha saputo ritagliarsi in tanti anni di carriera un ruolo di spicco nella cinematografia italiana e francese, dove è a tutti gli effetti considerata attrice nazionale. Nata in una ricca famiglia torinese da padre compositore e da madre pianista, si trasferisce molto giovane a Parigi crescendo in un contesto intriso di cultura che riverserà più o meno consapevolmente nei suoi personaggi. Sua sorella Carla diventa modella, cantante e première dame francese, il fratello Virginio lascia invece questa Terra nel 2006 aprendo un vuoto profondo nell’esistenza di Valeria. È grazie a Patrice Chéreau che avviene l’esordio nel cinema nel 1987, mondo che l’attrice non abbandonerà più a vantaggio di tutti i cinefili che ne amano la tenera vulnerabilità.

Ai David di Donatello è ormai data per scontata (e inevitabile) una sua candidatura come miglior attrice protagonista per quasi ogni ruolo che decida di interpretare. E quando entra in quella cinquina rappresenta sempre il timore principale delle colleghe: su sei nomination si è portata a casa ben quattro vittorie per La seconda volta, La parola amore esiste, Il capitale umano e La pazza gioia, i primi due di Mimmo Calopresti e gli altri due di Paolo Virzì. Ci risulta ancora inspiegabile la mancata candidatura dello scorso anno per Gli Indifferenti (lo trovate su CHILI), poiché la sua Maria Grazia Ardengo di matrice moraviana regala emozione pura e regge su di sé l’intera pellicola. Come Calopresti e Virzì sono tanti i registi che la amano, le si affezionano e che a lei a più riprese decidono di affidarsi per saper al meglio restituire l’animo fragile e tormentato dei personaggi che hanno in mente: tra gli altri Avati, Denis, Chabrol, Bellocchio, Dumont e da quasi vent’anni anche François Ozon.

Insomma, perché amiamo Valeria Bruni Tedeschi? Perché è una persona generosa che non ha paura di mostrare le sue debolezze e di giocarci anche un po’. Perché mette tutta la sua umanità quando interpreta un personaggio o quando dirige se stessa, raccontandosi nella forma di quella che lei definisce “autobiografia romanzata”. Dall’inizio del nuovo millennio si è infatti denudata nei suoi È più facile per un cammello…, Attrici, Un castello in Italia e ne I villeggianti, dove insieme a una crew di fiducia con tanto di mamma Marisa Borini, (ex) compagno Louis Garrel e figlia Oumy Bruni Garrel rivela se stessa e tutte le sue sofferenze per esorcizzare la vita con l’arte. Dove ci ha fatto emozionare di più? Probabilmente nell’interpretare la distinta Beatrice Morandini Valdirana de La pazza gioia, donna di classe affetta da disturbi mentali la cui follia è così triste, buffa e fantasiosa. Nel suo ruolo (ad oggi) della vita sfodera un’abilità recitativa che nella complicità con Micaela Ramazzotti trova la perfetta sintesi della sua poliedricità. Dopo averci abituato a svariati ruoli di donna sommessa e sottomessa, ha qui un’energia pervasiva che travalica lo schermo e che ce ne fa innamorare definitivamente.

E proprio quando credevamo ci avesse offerto già tutto nella sua recitazione, ci commuove nel suo essere semplicemente Valeria. Non c’è discorso che ricordiamo con più tenerezza sul palco dei David di quello fatto dalla Bruni Tedeschi nel ricevere il sacrosanto premio per questo film. In quell’occasione trovò il tempo per ringraziare l’amica Barbara che le propose ufficialmente la sua amicizia il primo giorno d’asilo, dandole un pezzo della sua focaccia e facendola così sentire magicamente non più sola. Aggredendo qualsiasi prerogativa che ci spinga a mostrarci forti ed esemplari, ringraziò la sua povera psicanalista, nonché gli uomini che l’hanno amata, che ha amato, che la ameranno e anche quelli che l’hanno abbandonata. Non dimenticò infine di ricordare ad una platea e ad un mondo, quello del cinema, che talvolta sfrutta la cultura più per esibizionismo che per reale devozione, quanto grata e riconoscente fosse a Leopardi, Ungaretti, Pavese, Natalia Ginzburg, Anna Magnani, Gena Rowlands e Fabrizio De André, esponenti chiave della sua eclettica formazione.

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