MILANO – Atteso, e molto, a partire dall’accoglienza decisamente positiva in Croisette fino alle sei nomination ai César, incluse le principali, con la vittoria finale dell’infermiera Aissatou Diallo Sagna come non protagonista. Di che film parliamo? Di Parigi, tutto in una notte diretto da Catherine Corsini con protagoniste Marina Foïs e la “nostra” Valeria Bruni Tedeschi. Nel film la coppia composta da Raf (Bruni Tedeschi) e Julie (Foïs), nel pieno di una crisi sentimentale, si ritrova in ospedale per via di una frattura al braccio di Raf. Quella notte parigina porterà in realtà a galla una frattura ancor più drammatica, quella di un Paese intero (la Francia), ferito dalle disuguaglianze sociali e alla disperata ricerca di giustizia. Per volere della stessa regista la pellicola è un po’ documentario e un po’ film di finzione, perché si riallaccia ad una vera manifestazione dei gilet gialli avvenuta verso la fine del 2018.
Ai tempi delle rivolte capitò, infatti, alla Corsini, di ritrovarsi in un Pronto Soccorso molto simile a quello rappresentato nel film. E fu proprio quell’incidente e la notte che ne seguì a farle capire che l’ospedale dovesse essere l’ambientazione (e in fondo l’ulteriore personaggio) del suo film. L’ospedale, che nella realtà è una fabbrica vuota su cui gli scenografi hanno fatto uno splendido lavoro, diventa il luogo perfetto per questa storia per la sua natura democratica, perlomeno sulla carta. Non v’è pronto soccorso che assegni un codice rosso in relazione al ceto sociale, dovendo badare infatti esclusivamente alla gravità della ferita: forse per questo al meglio rappresenta l’utopia sociale auspicata dalla regista. Il caso ha poi voluto che nel frattempo scoppiasse una pandemia mondiale, rendendo Parigi, tutto in una notte ancor più necessario.
Se era doveroso, infatti, dar spazio ai disagi di chi si ribella, diventava altrettanto imperante la necessità di raccontare e omaggiare la fatica di chi in ospedale lavora spesso in condizioni allucinanti, non dovendo peraltro perdere mai attenzione, empatia o gentilezza nei confronti del paziente. Per dare autenticità alla storia si è deciso inoltre di far recitare veri professionisti sanitari, il cui coinvolgimento in un film durante un periodo tanto complesso ha da un lato complicato ulteriormente le vicissitudini produttive, ma dall’altro reso la pellicola un’autentica figlia di questi tempi. Secondo la regista, che per l’occasione si è ispirata alla cinematografia di Ken Loach, è stato proprio il lavoro di queste persone a legittimare in ultima battuta Parigi, tutto in una Notte. Non sarà dunque un caso che l’unico riconoscimento attribuito alla sua opera nella particolarmente agguerrita notte dei César 2022 sia andato proprio all’infermiera Kim, interpretata da Aissatou Diallo Sagna, una non professionista.
La vera sfida, infine, che Parigi, tutto in una Notte dovrà essere in grado di affrontare è rappresentata dal saper raccontare la noiosissima attesa tipica di ogni pronto soccorso, senza però perdere in ritmo e azione. È lecito, tuttavia, aspettarsi che proprio la natura (pseudo)documentaristica della pellicola, unitamente alle interpretazioni attoriali di volti come la Bruni Tedeschi, saranno in grado di restituire autenticità e vibrazioni emotive a questo racconto sociale. Ammettiamo che, rispetto al titolo italiano, apprezziamo maggiormente il più diretto originale La Fracture, in quanto esemplificativo della frattura fisica, sentimentale e sociale che appartiene non solo alla vicenda di questo film, ma a svariate realtà politiche del mondo. Che il cinema possa essere la strada per esorcizzare le fratture del nostro tempo e migliorare la nostra società? Catherine Corsini ci crede: perché non farlo anche noi?
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Qui il trailer di Parigi, Tutto in una Notte:
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