ROMA – «Il film quando non è documentario è un sogno. È per questo che Andrej Tarkovskij è il più grande di tutti». Così parlò Ingmar Bergman. Uno che negli anni non le ha mandate a dire nei confronti dei suoi colleghi cineasti: non con Tarkovskij però. L’ha sempre considerato un punto di riferimento. La vera chiave di volta della comprensione filmica: «Porta nel cinema un nuovo linguaggio che gli permette di affrontare la vita come apparenza; la vita come sogno». Del resto ha sempre trasceso la forma Tarkovskij. Cinema come istantanee di vita reale. Frammenti di tempo disgregati resi mosaico da un montaggio che ne cuce le estremità senza darvi soluzione di continuità temporale. Non fa eccezione Solaris – presentato a Cannes il 13 maggio del 1972 – che dell’opus tarkovskiano è riconosciuta come l’opera più apprezzata (e vista) fuori dai confini sovietici.
E allora, per questa nuova puntata della nostra bella serie Longform (trovate qui tutte le precedenti), siamo andati in archivio a cercare le origini di tutto. Tratto dall’omonimo romanzo del 1961 di uno scrittore ucraino come Stanislaw Lem (oggi il volume lo trovate edito da Sellerio Editore), è proprio all’estero però che Solaris ha vissuto le sue più colorite avventure distributive, alcune al limite dello scempio. Negli Stati Uniti, per esempio, giunse troncato di oltre trenta minuti, anche se la cosa non fermò o scoraggiò in alcun modo i curiosi cinefili americani che, a metà degli anni Ottanta, organizzarono proiezioni clandestine al Village di New York combinando la versione doppiata in inglese con le sequenze mancanti di una stampa originale russa. In Italia però facemmo perfino di peggio.
Per ragioni distributive di cassetta, Solaris fu mutilato dei primi quaranta minuti. Privandolo così di un preambolo essenziale per l’economia del racconto. Il colpo di grazia glielo diede però il doppiaggio dell’epoca. Al fine di renderlo più comprensibile e fruibile al grande pubblico l’intero copione fu alleggerito nel tono da Dacia Maraini che semplificò molte delle complesse linee dialogiche. La cosa non andò giù a Tarkovskij. Dopo averlo visionato a Venezia chiese (inutilmente) di cancellare il suo nome dai titoli di testa giudicandolo del tutto antitetico rispetto all’originale. Uno scempio insomma, ma non del tutto colpa dei distributori.
Prima di Cannes, Solaris fu presentato a Mosca il 5 febbraio 1972. Per oltre dieci anni la Mosfilm fu obbligata dal Goskino – ovvero l’ente statale incaricato di coordinare e organizzare l’attività cinematografica in Unione Sovietica – a trattenere in patria la versione originale da 165 minuti. E non solo. Un po’ come con il precedente Andrej Rublëv quella del Goskino fu per la lavorazione di Solaris una presenza silenziosa ma ingombrante: ne approvò la produzione per metraggio di pellicola (quattromila metri/due ore e venti minuti di durata) arrivando perfino a ritardare di settimane il rilascio del visto per un viaggio ad Osaka di cui Tarkovskij si sarebbe servito per filmare le strutture dell’Expo ’70. Ci arrivò poi in Giappone, ma a fiera finita. Pur di non restare con le mani in mano giustificò al Goskino la trasferta filmando quella lunga e suggestiva sequenza stradale che fa da preambolo all’arrivo nella stazione spaziale.
Non ultimo il Goskino fece pressioni affinché venissero eliminate dal racconto le elevate allusioni religiose in favore di un futuro più realistico e in generale di un’opera dal taglio commercialmente più fruibile. Pressione quest’ultima a cui Tarkovskij si oppose strenuamente. Del resto la ratio filmica alla base di Solaris riguardava proprio il portare profondità emotiva in una fantascienza ritenuta da Tarkovskij superficiale, sterile, e contraffatta. Più attenta a prevedere falsamente il futuribile che non a provare a costruirlo. E la ebbe vinta. Quando Solaris verrà licenziato dal Goskino a post-produzione ultimata, i tagli saranno minimi, del tutto irrisori. Questo per via della strategica importanza del progetto artistico Solaris.
Non solo per Tarkovskij che nel 1968, quando si interessò all’adattamento del romanzo di Lem, vedeva Andrej Rublëv ancora bloccato dalla censura e lo script de Lo specchio invenduto e improduttivo, ma anche per la stessa industria cinematografica russa che riteneva la (potenziale) trasposizione una scelta logica sia sul piano commerciale che artistico. Del resto quella di Lem era un’opera di grande appeal. Una gemma letteraria che nel ridiscutere l’impatto dell’esplorazione spaziale sulla psiche dell’individuo descrisse l’inadeguatezza della scienza nel comunicare con forme di vita aliene perché ben oltre la semplice comprensione umana. Tarkovskij fece sue le peculiarità del racconto di Lem rimescolandone l’inerzia secondo una via interpretativa opposta e antitetica che meglio si prestava all’idea di cinema temporale.
La scientificità del racconto originario venne infatti depotenziata a mera cornice e causale narrativa. Lasciandola così impassibile spettatrice dell’autentico cuore del Solaris tarkovskiano: le pene d’amor perduto e illusorio di Kris (Donatas Banionis) e Hari (Natal’ja Bondarčuk). Moderni Orfeo ed Euridice ovidiani la cui tragica sinfonia di dolore vissuto, elaborato, e rivissuto nello spazio siderale, venne da Tarkovskij arricchita di senso e colorata di un esistenziale sapore di quello che Nietzsche codificò ne La gaia scienza del 1882 come l’Eterno ritorno dell’uguale. Una visione liberamente ispirata al romanzo che sembrerebbe piacque poco a un Lem che – forse poco avvezzo alle logiche registico-cinematografiche – era convinto che Tarkovskij si sarebbe limitato a illustrare il romanzo a menadito piuttosto che reinterpretarlo liberamente.
Ironicamente sembra che pure Tarkovskij nutrisse una certa insoddisfazione verso il risultato finito Solaris. Come riportato dallo stesso autore in Tempo di viaggio (originale location scouting filmico di Nostalghia) lo ritenne incapace di trascendere il genere di riferimento a differenza del successivo Stalker. Del resto la celeberrima Zona si è prestata negli anni alle più colorite e suggestive interpretazioni critiche arrivando perfino ad essere considerata come una gigantesca allegoria dell’immaginifico potere del cinema. Dal canto suo invece l’inevitabile rigidità strutturale del concept di Solaris ne impedisce qualsiasi forma di colorita interpretazione non risultando per questo un’opera infelice e fallimentare.
Per Solaris (lo trovate su Prime Video e nel canale Youtube della MosFilm), infatti, parla un cinquantennale retaggio fatto di suggestioni ed ispirazioni (Punto di non ritorno, Sfera, Inception, High Life, e potremmo andare avanti per molto) e di un’ambiziosa rilettura ad opera di Steven Soderbergh e George Clooney a trent’anni di distanza: il cinema al suo meglio, quello dei miracoli sul grande schermo in grado di cambiare la vita agli spettatori, destinato a riecheggiare per sempre tra le pieghe del tempo.
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- VIDEO | Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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