ROMA – Parasite di Bong Joon-ho? Pazzesco. Ma che il regista sudcoreano sia bravo (e molto) lo aveva dimostrato già in passato e chi lo seguiva lo sa. Prima con Memories of Murder, nel 2003, poi con Madre, del 2009 e, cambiando totalmente genere, con Snowpiercer, datato 2013 (lo trovate su CHILI). In sala però passò molto velocemente, destino comune per quelle pellicole sci-fi post-apocalittiche che fanno davvero tanta fatica nei nostri cinema. Eppure Snowpiercer, è anche un’opera piena e complessa, potente nella storia e nelle immagini. La distribuzione non ha aiutato, certo, ma Snowpiercer, tratto dall’acclamata graphic novel francese Le Transperceneige, tiene incollati allo schermo, in tutte le sue due ore piene.
A cominciare dalla storia, che racconta di come quasi tutta l’umanità – e ogni forma di vita -, si sia estinta in seguito ad un’era glaciale causata (guarda caso) dall’uomo stesso. Allora i superstiti della catastrofe sono suddivisi in vere e proprie classi, venendo stipati in un treno che percorre (senza mai fermarsi!) un mondo ormai ghiacciato e morto: nella locomotiva, capo assoluto, c’è il mistico Wilford (Ed Harris); in fondo troviamo i disgraziati, con a capo da Curtis (Chris Evans, ingrigito e sporcato, lontano dal suo Steve Rogers), stufi delle dei soprsui e intenti a rovesciare il controllo del treno, dando lui vita a un vero e proprio golpe, quasi fosse una specie di Spartacus.
Per capire la grandezza di Snowpiercer basti pensare che è la produzione coreana più costosa della storia, ma accantonando la spettacolarità delle immagini, nel film di Bong Joon-Ho viene fori con forza una narrazione fatta di metafore che toccano la religione, l’evoluzione, il concetto di libertà e lo strapotere della Natura, tra citazioni dantesche e oscurità. Tutto all’interno di un microcosmo metallico che, però, si trova a viaggiare in un macrocosmo gelato. Ma, come ci ricorda il bravo Bong Joon-Ho, dall’acqua nasce la vita. Che sia una ghiacciaio perenne o un catartico diluvio.
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