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Pupi Avati: «Lei mi parla ancora, l’amore e l’importanza dell’illusione…»

L’immortalità, i ricordi, gli Sgarbi e il futuro della sala: il regista racconta il suo nuovo film

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ROMA – «L’affettività è il fil rouge di ogni inquadratura della storia. Credo che il film abbia avuto un affetto terapeutico su tutti. Ci ha migliorati. Quando è finito eravamo tutti un po’ cambiati». Pupi Avati racconta così l’esperienza sul set di Lei mi parla ancora (lo trovate su CHILI), film ispirato al romanzo del 2014 di Giuseppe Sgarbi – padre di Elisabetta e Vittorio. Un’opera in cui il regista ha riunito un cast corale, da Renato Pozzetto a Stefania Sandelli passando per Isabella Ragonese, Lino Musella, Chiara Caselli e Fabrizio Gifuni – per raccontare la storia d’amore, lunga sessantacinque anni, tra Nino e Caterina. Alla morte di lei, la figlia della coppia, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della moglie, gli affianca un ghost writer per scrivere un libro sulla loro storia. «Perché oggi un’amore così sembra impossibile da replicare? Non lo so, ma riproporlo è un mio dovere», ha raccontato il regista, «Non potevo esimermi dal farlo».

IL FILM «È una storia esagerata. Sono voluto entrate in una dismisura sentimentale e affettiva che mi sembra oggi venga a mancare nella storia del nostro Paese e dell’Occidente. C’è una sorta di prudenza di esporsi, di aprirsi, di parlare della propria vita, della propria morte e del proprio amore alla luce di quel “per sempre”, una locuzione verbale che mi sembra abbiamo soppresso. E, invece, era fondamentale nei remoti anni Cinquanta, in cui non era ricorrente solo nelle canzoni ma anche in tutte le relazioni. Non solo quelle d’amore ma anche nell’amicizia, negli oggetti. E anche se la ragione richiamava al fatto che fosse impossibile esistesse il “per sempre”, per un attimo ci volevi credere e davi a quel momento della tua vita un significato che aveva a che fare con l’immortalità».

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Pupi Avati sul set insieme a Stefania Sandrelli, Rebato Pozzetto e Alesandro Haber

IL PUBBLICO «Ho già avuto dei segnali di ritorno, straordinariamente e sorprendentemente positivi. Da una storia d’amore così totalizzante chi può chiamarsi fuori? So benissimo che nella realtà è fortemente anacronistica. Ma quando uno conosce una ragazza, si innamora follemente e pensa “Voglio stare con lei per tutta la vita” mi sembra assolutamente normale. Sarebbe grave se non fosse così. Questa precarietà degli affetti mi sembra una delle componenti meno apprezzabili del nostro presente. Penso che questo film possa essere visto da tutti, dagli 8 ai 97 anni, l’età alla quale arriverò io. Ha un range di novant’anni!».

Lino Musella e Isabella Ragonese sul set del film di Pupi Avati

L’ILLUSIONE «Perché oggi un’amore così sembra impossibile da replicare? Non lo so, ma riproporlo è un mio dovere. Non potevo esimermi dal farlo. Sono arrivato a un’età in cui conosco la vita così bene e so l’importanza che ha avuto l’illudersi. Qualche anno fa scrissi una mia autobiografia, La grande invenzione. La vita trova un significato se mentiamo a noi stessi, se siamo capaci di illuderci. Quando insegno recitazione ai giovani attori, insegno loro a sognare, a non fare troppi conti con la ragionevolezza. Viviamo in un’epoca in cui si fanno solo somme e sottrazioni. Quando vendevo i bastoncini di pesce alla Standa di Bologna, pensavo che volevo diventare regista. Avrei potuto fare cinquantadue film se non avessi avuto la capacità di mentire a me stesso in modo così convincente?».

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Stefania Sandrelli e Renato Pozzetto sul set del film diretto da Pupi Avati

IL FUTURO DELLA SALA «Sarà molto complicato ricreare la necessità della sala cinematografica. Il periodo si sta prolungando. Avevo proposto di mettere in atto un’operazione che riproduca la nostalgia della sala, di com’era bello vedere i film al cinema. Alla gente mancano tante cose, dai ristoranti al mare. Ma grazie alle piattaforme il cinema ha continuato ad esserci e alla gente non manca. Invece bisogna riprodurre delle condizioni attraverso le quali le persone rivivano quel tipo di nostalgia. Mi manca l’idea di accompagnare il mio film in una sala gremita in cui alla fine si accendono le luci, tutti hanno le lacrime agli occhi e applaudono. Nell’attuale condizione di fruizione tutto questo non c’è. Ne sono grato ma è evidente che la presenza è un altra cosa».

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Fabrizio Gifuni e Renato Pozzetto sul set di Lei mi parla ancora

L’IMMORTALITÀ «L’immortalità alla mia età, al di là del romanzo degli Sgarbi e di questo film, è un’idea che mi accompagna. Una persona della mia età si sveglia alla mattina convinto di avere 14 anni, ma dopo dieci secondi il mio corpo recalcitrante su tutto mi ricorda che ne ho 82. Pensare che ci sia qualcosa oltre quei titoli di coda che intravedo nella mia vita è legittimo».

Pupi Avati e Stefani Sandrelli

ATMOSFERE AUTOBIOGRAFICHE «Alla fine della proiezione privata del film, i miei figli mi hanno detto: “Papà, Nino Sgarbi sei tu”. C’è molto di autobiografico in quello che fa Renato Pozzetto nel film. Uno dei momenti più felici è quando Fabrizio Gifuni legge una porzione del libro che riguarda la vecchiaia, quella stagione della vita in cui non ci si abbraccia più. Questa cosa non è nel romanzo ma è una considerazione di mia moglie. La parte autobiografica che riguarda Renato fa riferimento alla mia esperienza di uomo anziano con il terrore e la paura di dovere affrontare una situazione come quella di Nino. Situazione per la quale gli uomini non sono predisposti a differenza della donna che ha la capacità di dare la vita e metabolizzare il dolore molto meglio degli uomini. Invece tutta la parte che riguarda Fabrizio, e quindi la modernità, l’ha scritta in parte mio figlio Tommaso. Mi sono affidato allo sguardo di un suo coetaneo».

  • Volete vedere il film di Pupi Avati? Lo trovate su CHILI
  • Tra Cesare Pavese e i ricordi: la recensione del film di Pupi Avati

Qui la nostra intervista a Chiara Caselli:

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