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Sacco e Vanzetti, l’America e la modernità del cult di Giuliano Montaldo

Cucciolla, Volonté e uno dei film più importanti del cinema italiano. Perché riscoprirlo

Sacco e Vanzetti
Sacco e Vanzetti

MILANO – «Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo: due poveri sfruttati». Questo sono stati Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, italiani emigrati negli Stati Uniti all’inizio del Novecento e giustiziati – da innocenti – il 23 agosto 1927, dopo sette anni di processo. Sacco e Vanzetti è una storia di ingiustizia e di politica, recuperata e confezionata magistralmente da Giuliano Montaldo nel 1971 e oggetto di un restauro molto efficace nel 2017, sotto la supervisione del regista. Due ore di spettacolo che passano in un baleno (sembra girato ieri in quanto a ritmo), e lasciano l’amara consapevolezza tipica dei film che cambiano la vita, con una forza impressionante e un retrogusto di impotenza che appartiene solo alla tragedia greca: gli uomini possono poco, gli eroi lo sono loro malgrado, il mondo è scientemente molto più crudele di quanto lo si possa tollerare o concepire.

Sacco e Vanzetti
Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volonté

Due caratteri opposti Sacco e Vanzetti, uomini accomunati da un destino infame, ma diversi proprio in quanto individui. Operai, stranieri e anarchici, potrebbero essere entrambi protagonisti di un film dell’ultimo Clint Eastwood: finiti sulle prime pagine dei giornali per caso e per errore, ciascuno ha la sua particolare dignità nell’affrontare la sfida più complicata della vita, divenendo insieme, ma ciascuno per sé, eroi e martiri nella mai esaurita battaglia per un mondo migliore. Sacco e Vanzetti sono due vittime di un mondo infame. L’uno è disperato, disilluso e privo di speranza a fronte della condanna; l’altro più idealista, fiducioso nei ricorsi e determinato nel suo ribellarsi compostamente.

Sacco e Vanzetti
Sul set del film

E il bello è che il primo è interpretato da un grande Riccardo Cucciolla (premio per la migliore interpretazione maschile a Cannes), il secondo da un profondo Gian Maria Volonté, protagonista, sul finale di pellicola, di uno dei monologhi più importanti di tutta la storia del Cinema (il testo è originale, ma richiama alcune frasi che il Vanzetti avrebbe davvero pronunciato). Montaldo ci racconta la vicenda secondo due linee interpretative differenti (simboleggiate tra l’altro dai due avvocati che si avvicendano alla testa della difesa), ossia la visione dei fatti in chiave puramente giuridica, o in chiave più schiettamente politica. Nella prima lettura abbiamo due uomini vittime di un semplice errore giudiziario, seppur determinato dai preconcetti nei confronti degli italiani e da una forma di razzismo tanto radicata nell’americano da rendere facile la sua strumentalizzazione da parte del procuratore Katzmann.

I primi piani di Sacco e Vanzetti
I primi piani di Sacco e Vanzetti

Con l’altra chiave, invece, il processo diventa tutto politico, parte di un più ampio scontro tra lo Stato e il ribelle, condotto tramite una magistratura che si fa braccio armato e repressivo di un conservatorismo reazionario e terrorizzato sì dal pericolo rosso e dall’anarchico, ma che vede con sospetto anche tutto quello che esce dai ranghi di una normalità appresa per sentito dire, che si impone e si autolegittima solo in virtù della sua forza materiale, del suo essere dittatura morale della maggioranza, in grado di reagire alle provocazioni solo ribadendo la sua superiorità fisica. Sul finale, queste due interpretazioni si intrecciano fino a sovrapporsi, lasciando spazio solo per la rassegnazione. Ma per comprendere il valore politico di questa storia, bisogna anche accennare al contesto in cui Montaldo decise di raccontarla.

Sacco e Vanzetti
In bianco e nero

Era passato poco più di un anno dalla strage di Piazza Fontana, e una manciata di mesi da Morte accidentale di un anarchico e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, opere che – proprio insieme a Sacco e Vanzetti – segnarono un momento di passaggio per il nostro Paese: dopo le aspettative del centrosinistra nei primi Anni ’60 e i sogni rivoluzionari del ’68, il transito agli Anni ’70 sembrava aver distrutto ogni illusione; negli Stati Uniti le proteste si erano concluse con la vittoria della maggioranza silenziosa di Nixon e in Italia una parte della politica sembrava voler imboccare la via della repressione del dissenso.

Sacco e Vanzetti
Ieri o oggi?

Il richiamo ai ruggenti e repubblicani Anni Venti (quelli della crescita economica, ma anche del proibizionismo e della seconda ondata del Ku Klux Klan), servono allora a mettere in guardia dalle possibili derive di uno Stato manipolabile dai complotti retrivi e incitano alla resistenza contro un potere che sta oltrepassando i limiti, regalando a chi ne avesse bisogno due martiri da piangere ed ammirare. Un’ultima cosa va assolutamente detta sulla colonna sonora, nel complesso certamente tra le meglio riuscite a Ennio Morricone. Oltre agli strumentali utilizzati nel corso del film è da segnalare il brano finale Here’s to you, che raggiunse il primo posto in classifica in Francia e divenne in tutto il mondo un manifesto contro le ingiustizie (la versione italiana è cantata da Gianni Morandi e si chiama Ho visto un film).

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  • VIDEO | Qui per il trailer del film 

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