MILANO – Siamo nel 1943. Un giovane regista e sceneggiatore italiano di famiglia nobile fa il suo esordio dietro alla macchina da presa. Il film? Ossessione, tratto dal romanzo di James Cain, lo stesso autore de Il postino suona sempre due volte, dal quale sono stati ricavati in seguito svariati adattamenti cinematografici: su tutti la versione del 1946 diretta da Tay Garnett con Lana Turner e John Garfield. Ma, l’importanza di Ossessione – ancor prima che per il suo intrinseco merito artistico, che pure è di notevole rilievo – risiede nel fatto che, con esso, si tende a far coincidere l’inizio del Neorealismo propriamente detto.
Luchino Visconti, sin dalla sua opera prima, si rivela grandissimo cantore dell’Italia rurale; quell’Italia punteggiata da cittadine sovraffollate con stradine sterrate, spacci a gestione famigliare e tanti sogni nel cassetto. Ma l’impulso innovativo di Ossessione risiede nel realismo – appunto – dirompente della pellicola, nella secchezza assoluta dello stile, volto ad elevare a protagonisti della scena i due personaggi principali (Gino e Giovanna), con le loro ossessioni, incertezze e – soprattutto – il loro travagliato amore. Interessante inoltre, nonché di strabiliante indipendenza espressiva, il riferimento velato alla omosessualità, appena accennata con la consueta eleganza viscontea dal misterioso personaggio dello Spagnolo.
Proprio a sostegno di questo tema – al quale Visconti si mostrerà particolarmente devoto nel prosieguo della sua carriera – il celebre critico cinematografico Guido Aristarco, nel lontano 1960, parlava di “certe tendenze dello Spagnolo che risultano ambigue, soprattutto per ciò che riguarda i sentimenti che lo legano a Gino”. Ciò che più colpisce ad un occhio contemporaneo è la assoluta libertà con cui Visconti si offre al suo cinema, un cinema influenzato e dai grandi autori della vicini Francia (Visconti fu assistente alla regia e ai costumi per Jean Renoir), e da personalità di spicco del cinema d’oltreoceano.
Il risultato è un ibrido stilistico di grande raffinatezza, che fa della riflessione interiore e del dramma esistenziale dei due amanti, Gino e Giovanna, il nodo focale di tutta pellicola. Il personaggio incarnato da Massimo Girotti nei panni di Gino sarà poi ripreso da un altro grandissimo regista del cinema italiano – Michelangelo Antonioni – ne Il grido, dramma on the road fatto di paesaggi campestri, distese renose e umili dimore contadine. Moderno, spregiudicato e persino struggente, Ossessione rappresenta, ancora oggi, una tappa fondamentale nel percorso di ogni amante della settima arte.
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