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Thor: Ragnarok | Perché il film di Taika Waititi è (molto) meglio di quello che pensate

Hulk, Grosso guaio a Chinatown e grande scrittura, il terzo capitolo con il Dio del tuono? Da riscoprire

Thor: Ragnarok, perché rivederlo
Thor: Ragnarok, perché rivederlo

PALERMO – Nella mitologia norrena il Ragnarök è inteso come Il destino degli dei, ovvero della distruzione dell’Universo e dell’intera umanità a seguito di una gloriosa battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre del caos, che vedrà la sommersione del mondo nell’acqua cosmica, il collasso della volta celeste, nonché la morte di alcune delle figure chiave del Mito: Odino, Thor, Týr, Freyr, Heimdallr e Loki. Per certi versi è proprio questo che ha fatto Thor: Ragnarok di Taika Waititi nel 2017: distruggere sin dalle fondamenta la saga cinefumettistica del Potente Thor (Chris Hemsworth) per poi ricostruirne interamente la struttura dandovi nuova e rinnovata vita narrativa, ma andiamo con ordine.

Il Ragnarök come Il destino degli dei, ovvero della distruzione dell’Universo e dell’intera umanità

Presentatoci nel MCU – Marvel Cinematic Universe nel 2011 grazie allo stand alone Thor diretto da Kenneth Branagh, la saga del Dio del Tuono prese il via in un tono aulico a cornice di una narrazione popolata di segreti e tradimenti alla corte di Asgard che vedrà il giovane Thor bandito dal proprio regno ed esiliato sin nell’angolo più remoto di Midgard (e precisamente nel Nuovo Messico), per diventare poi protagonista di un viaggio del super-eroe che lo vedrà infine di ritorno ad Asgard come Dio degno di Mjolnir e uomo valoroso. Su questa scia anche il capitolo successivo, Thor: Dark World del 2013 di Alan Taylor, che mantiene il serioso tono puro Branagh diluendolo di elementi fantascientifici e di una maggiore approfondimento del contesto narrativo.

Da Branagh a Taylor: la dimensione aulica del Potente Thor

A non mutare (quasi) del tutto è la dimensione caratteriale del figlio di Odino procedendo nella costruzione di un Thor epicamente ineccepibile, praticamente invulnerabile sul piano fisico, ma non in termini emotivi. Da Branagh a Taylor – e senza dimenticare il crossover evento del 2012 The Avengers di Joss Whedon – il Dio del Tuono si ritrova a dover fronteggiare prima gli intrighi manipolatori del fratello Loki (Tom Hiddleston) e poi a fare i conti con la perdita della figura materna Frigga (René Russo), sino a ridiscutere le basi dell’infallibilità dell’eroe norreno: epico nelle grandi battaglie, fragile nel tenersi accanto le persone a lui care. È proprio in questo accidentato terreno che arriva il rivoluzionario Thor: Ragnarok, da Waititi definito come: «Il più disponibile e aperto dei film Marvel. È un film di avventura divertente, folle, e dalla velocità vertiginosa».

«Il più disponibile e aperto dei film Marvel. È un film di avventura divertente, folle, e dalla velocità vertiginosa»

Liberamente ispirato alla saga Ragnarök con un pizzico di Contest of Champions e Planet Hulk e una spruzzata generosa di Grosso guaio a Chinatown su diretta ispirazione dello stesso Waititi «Qual è la versione di Thor che vuole solo riprendersi il suo Pork-Chop Express? Quello che guarda il mondo e porta sarcasmo e ironia in questo paesaggio cosmico», Thor: Ragnarok piomba nel MCU come una bomba nucleare pronta ad innescare una rivoluzione di colori e sapori filmici. Su diretta ammissione di Waititi infatti: «Gran parte di ciò che stiamo facendo con Thor: Ragnarok è, in un certo senso, smantellare e distruggere la vecchia idea per ricostruirla in un modo nuovo, fresco. Se Ragnarök tradizionalmente significa la fine di tutto, con Thor significa attraversare delle prove per poi uscirne dall’altra parte totalmente cambiati».

Hulk nel film

Lungo il suo dispiego narrativo infatti Waititi procede con il diluire lo storico tono aulico della saga tra fanciullesche gag reiterate (la giravolta incatenata in apertura di racconto vale da sola la visione) e una colonna sonora d’impatto (Face of Evil, Pure Imagination, Immigrant Song), sino a consolidarne gli intenti decostruttivi tra un dissacrante teatro-nel-teatro parodistico degno del miglior Shakespeare e tanti piccoli momenti brillanti che finiscono con l’incanalare il racconto in una sorprendente e ben calibrata dinamica buddy (grazie all’Hulk del prezioso Mark Ruffalo) che punta dritta sin nel cuore narrativo di Thor: Ragnarok: la riscrittura caratteriale del Dio del tuono.

«Thor: Ragnarok è, in un certo senso, smantellare e distruggere la vecchia idea per ricostruirla in un modo nuovo»
«Thor: Ragnarok è, in un certo senso, smantellare e distruggere la vecchia idea per ricostruirla in un modo nuovo»

Un processo basilare, condotto per gradi, che vede la ridiscussione morfologica dell’eroe Thor tra Mjolnir distrutto per mano di Hela (Cate Blanchett), la perdita della chioma, di un occhio, della stessa Asgard come luogo fisico nel pirotecnico climax, per poi incanalare il potere del tuono dentro di sé. Non un processo compiuto e finito però. Quello offerto dalla narrazione di Thor: Ragnarok è il primo tassello di un’evoluzione ancora in divenire tra il ripristino dell’originaria dimensione epica di Thor (l’occhio artificiale, Stormbreaker) e il ruolo narrativo di antagonista dell’anti-eroe Thanos (Josh Brolin) in Avengers: Infinity War e il tracollo psicofisico di Avengers: Endgame figlio di lutti impossibili da elaborare, altri impossibili da evitare e l’aver fallito il proprio destino da guerriero.

Tessa Thompson è Valchiria
Tessa Thompson è Valchiria

Thor riuscirà ad accettare sé stesso e i propri limiti da dio (in)fallibile nella comprensione di un dialogo materno, per poi trovare redenzione nella battaglia finale per il destino dell’Universo così da regalarsi l’arco di trasformazione più ricco e vivace del MCU. Tutto parte da Thor: Ragnarok però, da Waititi, dal suo folle e brillante genio, e dalla consapevolezza che dietro l’apparente patina infantile (a detta dei detrattori più feroci) di un umorismo vivace e giocoso c’è molto di più: c’è Thor che scopre la sua essenza e le sua fragilità, l’inizio di un processo di scrittura (e riscrittura) caratteriale destinato –  che vi piaccia o meno – a restare per sempre nella storia del cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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