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Pearl | Il prequel di Ti West e Mia Goth? Un meraviglioso orrore in Technicolor

Il film è una disamina sulla potenza abbagliante del cinema. Produce A24. Presentato a Venezia 79

Mia Goth in Pearl
Mia Goth in Pearl

VENEZIA – Riprendere un’idea, stravolgerla e, intanto, restare fedeli alle proprie peculiarità artistiche e intellettuali. “Non potrei mai lasciare un mio film a qualcun altro. Seguo tutti gli aspetti, dalla scrittura al montaggio”. E, vedendo Pearl – anzi, immergendoci nel suo universo, fatto di storture, incomprensione, latente malvagità – non possiamo non credere alle parole del regista Ti West che, insieme a Mia Goth (protagonista nonché co-sceneggiatrice), mette in piedi un horror disfunzionale dai toni saturi e splendenti come fosse, nemmeno a dirlo, un film in Technicolor. Va da sé che è il suo film più maturo, quello più coeso e meravigliosamente costruito (ma vi consigliamo di recuperare anche The House of the Devil…) sopra una geniale trovata, subito sposata dalla produzione A24.

Mia Goth in una scena di Pearl
Mia Goth in una scena di Pearl

Un’opera che va in netto contrasto con l’evoluzione narrativa della pellicola, in quanto Pearl (presentato Fuori Concorso a Venezia 79) è, come saprete, il prequel di X – A Sexy Horror Story. Se lì, negli Anni Settanta, Ti West aveva infatti giocato con la sottrazione e con i filtri sporchi di un B-Movie in Super 8, qui è la luce a dominare l’immagine e ad alterare l’umore, nerissimo, della storia. Ambientato durante l’epoca della Prima Guerra Mondiale, il film scopre il passato di Pearl: una giovinezza segnata da un padre malato e da una madre infelice e spregevole che le ha trasmesso una totale mancanza di empatia. Mentre fuori imperversa l’Influenza Spagnola (e ci sono chiari riferimenti alla Pandemia moderna), e suo marito, Howard, è impegnato in trincea tra le linee tedesche, la Pearl di Mia Goth coltiva l’ambizione di entrare nel mondo dello spettacolo, così da sfuggire all’opprimente realtà rinchiusa nello spazio scricchiolante della sua fattoria.

L'occhio di Ti West e l'orrore di Pearl
L’occhio di Ti West e l’orrore di Pearl

Perché, a guardare bene, Pearl, che come le grandi pellicole della Golden Age è costantemente penetrata da una colonna sonora che altera l’immaginazione (Tyler Bates e Timothy Williams, in questo caso, hanno fatto un lavoro superlativo), è un’abbagliante (letteralmente) disamina su quanto il cinema e il mondo dell’intrattenimento giochino una marcata e potente influenza sul pensiero umano, spostandone (anche pericolosamente) il suo fulcro. Se X, che fa da sequel nonché da punto di riferimento, analizzava gli incubi dietro lo svanire della bellezza, Pearl trascina lo spettatore nei meandri squadrati di una ragazza che invoca l’amore pur non potendolo provare (l’unico barlume di affetto lo percepisce per il povero padre), e che rigetta il suo disgusto e le sue indelebili remore sopra al mondo che la circonda, che sia un mondo animale o un mondo umano.

Vendetta e orrore: Pearl
Vendetta e orrore: Pearl

Strascichi e inflessioni che stritolano l’intero racconto, plasmandola sotto la forma e la somiglianza di una ragazza indotta e introdotta al male più puro. Per questo, Pearl è un crescendo meticoloso e inflessibile di orrore. Un orrore che, però, viene nascosto nei dettagli e nelle sfumature: se X giocava in modo esplicito con alcuni canoni del genere, per il prequel Ti West sceglie un sentiero dagli incroci inaspettati, sedimentando l’inquietudine e mescolando le tonalità. Un coccodrillo, uno spaventapasseri, una (povera) oca, un vestito rosso, un palcoscenico irreale su cui provare quel numero di danza che potrebbe permetterle di spiccare il volo. Elementi che Ti West allarga e restringe in una folgorante e artigianale tecnica registica, capace di citare Tutti Insieme Appassionatamente e Dancer in the Dark, ma tenendo ben in rilievo una preponderante e sbalorditiva unicità cinematografica.

Qui il trailer originale:

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