ROMA – Un SUV non si ferma ad uno stop e falcia in pieno un’altra macchina. Simone, che fa il chirurgo, e sta risalendo con il suo kayak in un non-luogo del Nord Italia, sente il colpo e corre verso l’incidente. La camera da presa di Mauro Mancini, al suo esordio (e che esordio!) come regista in Non Odiare, si sofferma sui dettagli. Il sangue che scorre. I rottami. Il fumo. Le mani che provano a salvare l’uomo. Poi, la sorpresa. La vittima è ricoperta di tatuaggi che inneggiano al nazismo. Svastiche. Simboli. Riferimenti. Così, Simone, in un istinto ragionato, slaccia una cinta emostatica rimediata di fortuna, scongiurando qualsiasi tentativo di salvarlo. È impossibile, per Simone Segre, provare a tenere in vita un nazista. Lui, ebreo, con un passato complicato e un padre che per salvarsi dall’Olocausto curò i denti ai gerarchi tedeschi.
Inizia così Non Odiare, ora in streaming – su Prime Video e NOWtv – e anche in TV dopo il passaggio a Venezia, un film che fa entrare senza troppe parole nella testa del protagonista, martoriato da un’ingombrante ombra paterna che lo tortura con i ricordi e con una vecchia casa da svuotare. Un protagonista, interpretato da un oscuro e dosato Alessandro Gassmann, che porta sulle spalle un’opera prima dolorosa dove, in poche parole, viene spiegata l’importanza del comandamento più importante. Non odiare, un titolo che non va confuso con il perdono, né con la remora. Retaggi abusati e improbabili quando si parla di vita vera, di esperienze che non possono e non devono essere edulcorate, figuriamoci perdonate. Sarebbe pericoloso perdonare o comprendere l’ideologia che si insinua dietro i moti della destra più estrema. E qui, Mancini – che ha scritto il film con Davide Lisino – non cerca moralismi, raccontando una storia asciutta e cruda, fatta di personaggi approfonditi e sfumati con poche battute, ma tutte precise e taglienti.
Allora, il Simone Segre di Gassmann, per combattere il fuoco di un’interdizione sconvolgente (il “tradimento” ad Ippocrate da una parte, il bisogno sacrosanto di una piccola, grande giustizia personale dall’altra) entra nella vita di quel nazista morto per caso o per destino, avvicinandosi rischiosamente alla figlia maggiore Marica, con il volto profondo e sbattuto di Sara Serraiocco (e nel cast c’è anche il bravo e giovane Luka Zunic, che avevamo intervistato qui). Attenzione, però: Non Odiare non è un film sui nazifascisti né sulla loro concezione del mondo – vista nel film attraverso l’enfasi ridicola dei saluti romani o i codardi soprusi – ma è un film sulle scelte che si compiono, sulla complessità delle emozioni (che spesso vanno in conflitto, generando tempesta) e su cosa possa volere dire essere umani. Mancini, che è bravo nelle immagini e nella direzione, rimarca l’asciuttezza verbale facendo parlare – e non è facile – i corpi dei personaggi: spalle basse, occhi torvi, denti digrignati.
Dunque, ritorniamo all’emblematico titolo, quasi un imperativo. Perché, se non estirpato, l’odio genera odio: una macchia nera inarrestabile dalle conseguenze distruttive. E, l’unico modo per sconfiggerlo – capisce Stefano – è un estremo gesto d’amore, arma per annientare e zittire un pericolo (ancora) dilagante. Proprio per questo Non Odiare dovrebbe essere una visione necessaria, costruita su misura per i suoi interpreti, amalgamata alla realtà dei fatti, coesa al senso di giustizia che troppo spesso (e troppo facilmente) oggi viene scambiato per buonismo, in un circolo di sproloqui indefiniti e indefinibili. Ed ecco che il Simone di Gassmann fa da lezione: restare in silenzio, osservare e compiere la scelta giusta. Liberandosi dai demoni, che siano quelli della mente o che siano quelli con una svastica tatuata addosso.
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