ROMA – Chi è Waleed? Waleed è uno scrittore palestinese che vive ad Haifa. Depresso e affetto da un profondo blocco creativo, vive le giornate in modo sempre uguale senza trovare alcuna gioia in nulla. Nemmeno nella sua famiglia. Questo accade però fino a quando a risvegliarlo dal torpore non arriva nel palazzo un nuovo vicino: Jalal. È con lui che, giorno dopo giorno, Waleed ritrova il gusto della vita, osservando da vicino la quotidianità dell’uomo fatta di espedienti e piccoli crimini. Da questo incontro parte lo snodo di Mediterranean Fever – Il mio vicino Jalal, seconda volta dietro la macchina da presa della regista palestinese Maha Haj che, sette anni dopo quel Personal Affairs in concorso a Cannes – dramma esistenziale complesso e sfaccettato – torna a raccontare di uomini e donne e della questione palestinese in modo originale, senza alcuno retorica, con uno sguardo lieve e un tocco profondo.

Il registro scelto? Un improbabile buddy movie al ritmo di thriller, un’insolita commedia dalle sfumature noir che diventa una miscellanea squilibrata di colori e sapori scenici a cavallo tra umorismo e dramma dentro cui la Haj – nata nel 1970 a Nazareth – scena dopo scena, svela un prezioso fil rouge tematico-narrativo. Ma attenzione perché i due film della regista sono tutt’altro che due film scollegati tra loro, anzi: «Personal Affairs parlava dell’identità dei palestinesi che vivevano in Israele, in Cisgiordania e in esilio. I personaggi soffrivano di frustrazione, prigionia e disperazione a causa della loro complessità, essendo palestinesi. La stessa frustrazione e prigionia da cui Waleed, come palestinese che vive ad Haifa, continua a soffrire. In Mediterranean Fever ho scelto di concentrarmi su una personalità ed esprimere la depressione di un individuo, in contrasto con quella di un’intera società…».

E così dall’universale, ecco il personale, il mondo di Waleed in un Mediterranean Fever decisamente più nelle corde intime e personali della Haj: «Sono una regista che ha uno stato d’animo generalmente malinconico che si mescola ad un casuale senso dell’umorismo. Questo mi ha portato a scrivere una dramedy un po’ thriller su Waleed, un aspirante scrittore quarantenne che soffre di depressione cronica e con cui ho portato all’estremo le mie opinioni e i miei pensieri quotidiani». E sullo sfondo di una Palestina fatta di storia e sfumature, frizioni e conflitti ecco Waleed (Amer Hlehel) e Jalal (Ashraf Farah), tanto distanti nei percorsi di vita intrapresi, quanto vicini nelle affinità solitarie, in un rapporto che è scoperta e riscoperta, del valore e del senso della vita, ma anche della paura di vivere e dell’altro.

Insomma, un film che è un autentico gioiello fatto di arguzia e irriverenza Mediterranean Fever, impareggiabile incrocio produttivo tra Palestina (Majdal Films, Metafora Productions), Germania (Pallas Film), Francia (Still Moving) e Cipro (Amp Filmworks). Talmente raffinato nel suo piglio di scrittura da aggiudicarsi il premio come miglior sceneggiatura a Un Certain Regard a Cannes l’anno scorso e abbastanza da convincere la Palestina a puntarci designandolo come il candidato palestinese nella categoria film internazionale per la corsa agli Oscar 2023. E nei nostri cinema? Ci arriva grazie ad una distribuzione attenta come Trent Film e l’impressione davanti a queste immagini è che se volete godere di un intrattenimento intelligente e che dà da pensare, sia la scelta giusta nel buio della sala.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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