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Matrix Resurrections | Il ritorno di Neo e Trinity? No, non è tutto oro quello che luccica

Lana Wachowski guarda indietro invece che avanti, perdendo il cuore e l’anima del film. Peccato

Matrix Resurrections, la nostra opinione
Matrix Resurrections, la nostra opinione

ROMA – Oggetto strano, a tratti indecifrabile. Come se fosse un universo cinematografico a sé, ancora più stretto e racchiuso tanto da ignorare e superare anche il concetto di narrazione, di racconto. Non troppo lontano dal primo, rivoluzionario film, fin troppo vicino ai successivi e (molto) discussi sequel. Un’operazione per i fan, ma anche un nuovo punto di partenza che prevede di acchiapparne dei nuovi. Del resto gli anni passano per tutti, il mondo è marcatamente cambiato e gli idoli del passato se la devono vedere con una riscrittura mutata e mutevole. Nessuno escluso. Così, anche se sei l’Eletto, dovrai vedertela con ansie, paure, psicanalisti, tossicità. Da qui, l’impulso primordiale di Lana Wachowski per Matrix Resurrections, che rivede i temi cardine del 1999 per farne – sotto le mentite spoglie sci-fi e cyberpunk – una storia d’amore.

Keanu Reeves è ancora Neo
Keanu Reeves è ancora Neo

Rispetto al primo Matrix, Lana cambia tutto e non cambia nulla: tanto complicato addentrarci nel plot, tanto è estremo il bisogno del film di stupire ancora prima che di narrare (ahia!) un nuovo scopo, una nuova matrice. Ma, sotto sotto, il Neo / Thomas di Keanu Reeves – barba e capelli lunghi – sa perfettamente che non è “tutto qui”. Sa che dietro il suo lavoro da game designer c’è altro, che la Tana del Bianconiglio è più profonda di quanto si pensi e che il gatto nero del suo analista (Neil Patrick Harris) ha qualcosa di famigliare. Ancora di più, sa che Tiffany / Trinity (Carrie-Anne Moss, avremmo voluto vederla di più), incontrata in un ristornate, assomiglia a qualcuno che conosceva bene, e che forse ha trasmigrato nel suo incredibile videogame tanto somigliante a quel mondo da lui (forse) affrontato nei meandri oscuri della mente.

matrix resurrections
Neo e Trinity

Come e più dell’opera originale, Matrix Resurrections percorre dunque una strada lineare, che vede Neo ricadere nella fatidica scelta della pillola rossa o pillola blu, reimmergendosi nella vera realtà. Attorno al continuum decifrabile, però, Lana Wachowski sperimenta (ahinoi) strade parallele che offuscano in parte le riflessioni e i concetti, così da ingarbugliare la matassa che vede due capi distinti: da un lato Neo, dall’altro Trinity. In mezzo? Battaglie, rivelazioni ed echi passati, con la figura emblematica di Morpheus che viene tramandata in un Morpheus versione 2.0 (Yahya Abdul-Mateen II), e la leggendaria Zion cambia addirittura in un archetipo dogmatico ormai da superare. Ma, tra frame iconici e citazioni, il fattore nostalgia viene poco a poco offuscato da un’annientamento volontario delle regole empatiche, e il film resta in un climax superficiale e finisce per tornare a sfiorare i preponderanti difetti che avevamo visto (e speravamo superati) in Reloaded e Revolutions.

Il ritorno dell'Eletto. Una scena di Matrix Resurrections
Il ritorno dell’Eletto. Una scena di Matrix Resurrections

Per questo, Matrix Resurrections, è un film – letteralmente – di mezzo: si vuole proseguire la storia dell’Eletto, inserendolo in un contesto in parte mai visto, e intanto sferzare colpi nella sottotrama decisamente più riuscita, ossia la relazione di Neo con sé stesso, e soprattutto la sua costante ricerca di Trinity, facendo dell’amore (disperato) tra i due l’elemento più forte dell’opera, nonché quello che smuove la voglia dello stesso di Neo di andare fino in fondo. Proprio per questo, avremmo voluto davvero vedere qualcosa che sia al passo con i tempi (in fondo, questo è pur sempre un sequel che arriva dopo quasi vent’anni) dal punto di vista registico e dal punto di vista narrativo, senza avvertire la necessità ridondante di provocare e stuzzicare i detrattori della saga e dell’intera Hollywood (a proposito, restate seduti dopo i titoli di coda), con le autrici che rimarcano di continuo il loro unicuum, il loro essere portavoce di una concezione diventata negli anni addirittura filosofica.

Yahya Abdul-Mateen II è il nuovo Morpheus
Yahya Abdul-Mateen II è il nuovo Morpheus

Dunque, cosa resta dopo Matrix Resurrections? Certamente un’operazione simile a quella messa in scena nel 1999, ma anche – come detto – un’inconsueta e (in)giustificabile presa di posizione da parte della Wachowski nel difendere a spada tratta il suo universo. Come se la ferita dei sequel di inizio Duemila sia ancora aperta e dolorante. Eppure, sono passati anni da allora, il cinema si è evoluto, ha cambiato linguaggio. Anche Neo / Thomas Anderson / Keanu Revees è andato avanti per il suo fortunato cammino. Perché, quindi, il nuovo Matrix, in particolar modo nella parte finale, prende una piega poco lucida, disperdendo le buone sensazioni che intravedevamo nello scopo di Neo e nello sguardo di Trinity? Non avendo una risposta concreta al quesito, diremmo solo che Lana Wachowski, proprio come fatto dall’Eletto, avrebbe dovuto guardare in avanti, puntando ad una sostanziale resurrezione del mito filmico, invece che rimarcarne (a questo punto) l’opinabile importanza.

Qui il trailer di Matrix Resurrections:

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