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Marat Sargsyan e The Flood Won’t Come: «Il mio film nato da un dilemma»

Il regista lituano debutta alla regia con un film senza etichette. In Concorso alla SIC 35

The Flood Won't Come
The Flood Won't Come

VENEZIA – Una carriera iniziata a 12 anni come operatore e montatore per la TV indipendente armena e proseguita tra video musicali ed emittenti locali prima di abbandonare tutto per entrare all’Accademia lituana di musica e teatro per studiare regia. Marat Sargsyan debutta al lungometraggio con The Flood Won’t Come, in Concorso alla Settimana della Critica. Un’opera difficile da incasellare che gioca con stili, formati e tecniche diverse mentre segue il Colonnello, un professionista della guerra che si è stancato di combattere.

Il protagonista di The Flood Won't Come
Il protagonista di The Flood Won’t Come

Perché hai scelto questa storia per il tuo esordio?

«Ho fatto un piccolo esperimento. Per due settimane ho guardato solo il canale nazionale russo. Dopo una decina di giorni ho iniziato ad avvertire che i paesi occidentali facevano tutto male. Questo anche se so molto bene come funziona la propaganda. Poi ho guardato solo i canali televisivi lituani ed è successa la stessa cosa. Ho esteso l’esperimento a emittenti televisive di altri paesi. L’effetto è stato lo stesso: “Queste persone sono brave, gli altri sono bastardi”. Ho sentito che l’informazione mi stava spingendo agli estremi. Da qui è nato il dilemma principale: come si sono formate queste persone, me compreso? Ho deciso di smettere di guardare la TV e iniziare a scrivere una sceneggiatura mentre la guerra infuriava in Ucraina e Siria».

The Flood Won't Come
Una scena del film

Il film è visivamente ricco. Qual è stata la sfida maggiore nel realizzarlo?

«Durante le riprese quando ho capito che tutte le persone sul set e dietro le quinte stavano lavorando per realizzare quello che avevo in mente, anche se la maggior parte di loro non capiva del tutto di cosa parlasse il film. Credevano solo in quello che dicevo. Molte delle decisioni creative che ho preso erano basate su mie intuizioni e c’erano molte persone che aspettavano le mie indicazioni. Un’altra sfida è stata lavorare con gli attori. Era il mio primo lungometraggio, non avevo molta esperienza nel dirigere gli attori e ho dovuto sudare per ottenere le interpretazioni che volevo».

The Flood Won't Come
The Flood Won’t Come

Quali sono i registi con cui ti sei formato?

«Anche all’Accademia, mentre studiavo regia, tutti gli studenti hanno avuto la stessa “malattia”: creare tutto nello stile dei registi che ammiravano. La più popolare era la “malattia” di Tarkovsky. Se la contrai è difficile liberartene. Io ne ho avute tre contemporaneamente: Tarkovsky, Parajanov e Antonioni. Grazie a Dio mi sono curato della loro influenza, ma d’altra parte questi tre registi e alcuni altri sono le fondamenta su cui sto in piedi. Chi mi ha veramente aiutato a scrivere la sceneggiatura è stato Tonino Guerra. Alcune delle scene che ho scritto erano basate sulle sue storie e sulla sua letteratura. In generale, Tonino è la persona che ha influenzato la mia vita, non solo la mia creatività».

La guerra
La guerra

Come hai lavorato con il direttore della fotografia Feliksas Abrukauskas?

«Feliksas è più giovane di me, ma in termini di esperienza quello maturo è lui. Era solido come un muro. Non avevo paura di cadere, perché significava semplicemente appoggiarsi a lui. Ha creduto tanto nel film, veloce nel capire in quali processi mi mancava esperienza e in grado di saturare quelle aree senza farmi sentire a disagio nel mio processo creativo. Per la fotografia si è destreggiato tra arrangiamenti complicati, scelte minimaliste e luce naturale. Se non fossi stato d’accordo con la sua scelta, l’avrebbe difesa con tutto il cuore ma, alla fine, avrebbe fatto come volevo. L’unico problema di Feliksas? È impossibile litigarci!».

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