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Libero De Rienzo, Bart e l’opera struggente di quel formidabile genio

Un fuoriclasse assoluto. Un irregolare purissimo. E una morte a cui non vogliamo credere

Libero De Rienzo in una scena di Smetto Quando Voglio.

ROMA – La prima volta, seduti in un cinema a vedere Santa Maradona, fu una folgorazione. Una rivelazione totale. Perché l’ammirazione che istantaneamente provammo per lui e per il suo Bart Vanzetti (che cognome) l’avevamo declinata fino a quel momento solo e sempre all’americana. Per distanza, per mitologia, anche per esterofilia, certo. Poi arrivò lui con quell’attitudine, quella faccia, quelle parole. Sempre quelle giuste. Libero De Rienzo era il nostro Joaquin Phoenix. Era il fuoriclasse che anche se lo mettevi in campo a dieci minuti dalla fine, ti rubava la partita. Perché era così. Era tutto suo. Qualsiasi film cambiava completamente quando arrivava lui. Andate a rivederveli. Appariva in scena quasi furtivo e poi, minuto dopo minuto, scoprivi che se n’era andato con l’intero film addosso.

Libero De Rienzo sul set di Santa Maradona. Era il 2001.

Un fuoriclasse assoluto. Un irregolare purissimo. Una morte a cui non vogliamo credere perché Libero non può reggere verbi al passato. Mai. Libero si declina al presente, sempre. Libero è. Libero rimane. Libero vive. Vive in tanti frammenti di cinema, in tante battute, in tanti istanti, ma soprattutto in tanti frammenti di noi. Chi lo ha amato, si ritrova a piangerlo quasi come fosse un familiare, come se lo avesse conosciuto, come se fosse stato con noi, anche solo per un istante. Non è stato così, eppure Libero noi lo conoscevamo bene. Era l’amico per cui provavamo ammirazione, mai invidia. Per cui sentivamo stima, mai gelosia. Perché era bello sapere di vivere in un mondo in cui, da qualche parte, c’era Libero che sarebbe spuntato fuori col suo sorriso guascone e l’aria di chi aveva già capito tutto.

De Rienzo sul set di Fortapasc.

E chissà che forse non sia davvero così, Libero, che tu avevi già capito tutto e ci hai messo nel sacco mentre stavamo lì in sala a guardarti, cercando di capire quale sarebbe stata la tua prossima mossa. No, non ci sarà una prossima mossa, perché questa è quella definitiva, te ne sei andato così. Un’uscita di scena da scacco matto. E allora a noi cosa resta? «La sregolatezza pura, che non ha a che fare col genio, m’esalta». Ci resta l’insegnamento di un talento, l’opera struggente di un formidabile genio che in carriera ha sempre fatto a modo suo (rivedetevi Sangue, la sua regia), ha sempre scelto e non si è mai fatto scegliere, per dirla alla De André. E non è poco, non è mai poco. Addio Libero, grazie di tutto.

  • Quella volta con Marco Bocci e Andrea Sartoretti: 

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