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La notte più lunga dell’anno | Ambra, Popolizio e quell’esperimento di provincia da capire

Vite, illusioni, delusioni: un film che promette tanto, ma spesso non riesce ad arrivare dove vorrebbe

la notte più lunga dell'anno
Vite inquiete durante il solstizio d'inverno: La notte più lunga dell'anno

MILANO – La notte del 21 dicembre, quella del solstizio d’inverno, viene considerata la più lunga dell’anno. Il sole ci mette più del solito a sorgere e le ore della notte passano interminabili, senza lasciare scampo a chi attende la luce di un nuovo giorno. Di certo passano così per i fantasmi protagonisti del debutto di Simone Aleandri (qui la nostra intervista), dopo qualche bella prova nel documentario. La notte più lunga dell’anno si muove sullo sfondo di una Potenza spettrale, desolata e avvolta nel buio, uno scenario insolito e affascinante di una città che solitamente non viene filmata. Eppure quel panorama addormentato è il testimone di questa prova di regia che a volte, nonostante le intenzioni, non riesce ad afferrare gli obiettivi di partenza.

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Ambra Angiolini in una scena de La notte più lunga dell’anno

Non sono davvero fantasmi, i protagonisti. Hanno carne e ossa, pensieri ed emozioni, ma le loro esistenze sono diventate inevitabilmente sottili e invisibili, complici di un luogo che non dà possibilità di fuga, il tempo che passa e le molte strade della vita che si restringono a ogni svolta presa. Come in una sorta di stasi perenne, sono bloccati in una routine che non sembra lasciare loro via di scampo. Ci sono un cubista di quarant’anni e suo padre malato, un politico corrotto, un giovane innamorato della sua ex professoressa sposata e tre ragazzi in cerca di divertimento che si spostano per la città su un carro funebre. Aleandri affida la sua storia corale a un cast di grandi nomi come Ambra Angiolini, Massimo Popolizio e Alessandro Haber.

Alcuni dei protagonisti de La notte più lunga dell’anno

In alcuni punti, però, La notte più lunga dell’anno tocca il ridondante e finisce per piegarsi su sé, andando a rispecchiare i protagonisti. Le vite dei suoi sfortunati viandanti non si toccano mai, e nemmeno si sfiorano: sono semplicemente lì a dimostrare che qualcosa di ideale ed effimero li lega, un’inquietudine esistenziale che si ritrova in ognuna delle loro storie. Il film di Aleandri pensa molto, tra lampi originali e qualche retorica sulla corruzione della classe politica, sulle nuove generazioni e i social, sulla deriva della società odierna. Per essere un film così riflessivo, ci sono poche parole e molto viene lasciato alle espressioni e agli sguardi, che dovrebbero dire tutto. Condizionale d’obbligo, perché una certa artificiosità dei dialoghi non aiuta.

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Massimo Popolizio in La notte più lunga dell’anno

Altre volte, invece, il film riesce a sorprendere. Qualche esempio? Quando un politico che ha passato la vita a relegare le proprie responsabilità trova rifugio in una chiesa o quando un giovane immerso nel freddo comprende che la storia che si era costruito è in realtà una farsa. Per il resto, non sono concessi miracoli che miglioreranno le loro vite, e nemmeno le prime luci dell’alba riescono ad alleggerirne il peso. Vite che noi conosciamo solo a metà, come a metà funziona l’allestimento narrativo messo in piedi da Aleandri. Un esercizio di stile, quasi sperimentale, che non lascia trapelare tutta l’urgenza di raccontare storie di cui dovrebbe invece trasudare. È sempre lì, a un passo da ciò che vorrebbe essere, ma nei 91 minuti della sua durata non riesce quasi mai a diventarlo.

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Qui la nostra intervista al regista Simone Aleandri:

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