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Desert Songs | La maledizione di Zabriskie Point e quella colonna sonora infinita

I Pink Floyd e i Rolling Stones, il finale e la tragedia: Michelangelo Antonioni e una soundtrack di culto

LONDRA – I Pink Floyd lo definirono un pomposo idiota, John Fahey lo prese a pugni, i Rolling Stones rifiutarono di collaborarci e perfino i Doors, a un certo punto, decisero di lasciar perdere. Che non fosse un personaggio facile si sapeva, ma oltre ad essere un estremo perfezionista riguardo l’aspetto estetico del suo cinema, Michelangelo Antonioni era anche ossessionato dal suono. Un esempio? Sono trascorsi quasi cinquant’anni dall’uscita in sala di Zabriskie Point – era il 9 febbraio 1970, la prima a New York – e ancora oggi si rincorrono aneddoti e ricordi di quella che fu una delle colonne sonore più tribolate della storia del cinema del Novecento, segnata da rifiuti, litigi e cambi in corsa, tra sperimentazioni e azzardi.

Una gestazione infinita, durata mesi e iniziata con le sessioni in studio dei Pink Floyd, fatti venire appositamente da Londra a Roma dopo che Antonioni aveva visto casualmente un concerto in Inghilterra (grazie a Monica Vitti). La loro Come in Number 51, Your Time Is Up sarebbe poi diventata parte integrante del film, ma il finale di Zabriskie Point sarebbe poi stato manipolato a insaputa del regista dalla Metro-Goldwyn-Mayer che, poco prima dell’uscita in sala del film negli Stati Uniti, aggiunse tutt’altra canzone: So Young di Roy Orbison.

C’era solo un problema: quella canzone era un brano rassicurante e speranzoso, l’esatto opposto del tema dei Pink Floyd e di un suono che tutto faceva immaginare tranne un happy end. Quel cambio imposto fece infuriare Antonioni e allungò l’aneddotica eterna di un film maledetto, a partire dal destino atroce del giovane (e bellissimo) protagonista, Mark Frecchette, che venne arrestato tre anni dopo le riprese per rapina. Morì misteriosamente in prigione, qualcuno dice per un regolamento di conti, nel 1975. Aveva solo ventotto anni.

Scritto da Sam Shepard, Tonino Guerra e Clare Peploe (futura moglie di Bernardo Bertolucci), Zabriskie Point venne musicato oltre che dai Pink Floyd (di cui Antonioni però paradossalmente usò solo tre brani), anche da Jerry Garcia dei Grateful Dead e dal grande chitarrista John Fahey, conservatore dichiarato, che però, durante una cena a Roma con il regista, litigò furiosamente con lui per ragioni politiche e gli tirò (addirittura) un pugno. Antonioni – reduce dalla collaborazione con Herbie Hancock per Blow-up – aveva anche provato a contattare i Rolling Stones, che però erano in tour e avrebbero voluto una cifra astronomica per fermarsi, nonché i Doors di Jim Morrison con cui però non se ne fece nulla.

I Pink Floyd accettarono e, nel novembre del 1969, si chiusero negli studi di via Urbana, a Roma, proprio con il regista addosso a seguire passo dopo passo le registrazioni in maniera estenuante. L’aspetto più clamoroso di tutta questa faccenda? Tra le molte cose scritte dai Floyd, rifiutate da Antonioni e lasciate nei cassetti ci sarebbero state anche le prime intuizioni di quello che sarebbe poi diventato un capolavoro assoluto del Novecento: The Dark Side of The Moon.

  • Qui la scena finale del film, con il pezzo dei Pink Floyd:

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