MILANO – I fiumi sono creature insolite e misteriose. Insolite perché assomigliano a lunghi serpenti primordiali che zigzagano dividendo il mondo a loro piacimento, misteriose perché affacciandosi a osservarle spesso si lasciano penetrare dalla luce così da mostrare il loro fondale, spesso invece si chiudono e si nascondono restituendo una fotografia specchiata della realtà. È proprio attorno al mistero e all’ambiguità di uno dei fiumi che dividono Shangai che Lou Ye ha costruito La donna del fiume – Suzhou River, l’ennesimo suo progetto censurato in Cina ma che gli ha permesso di raggiungere la notorietà in quell’Occidente che tanto lo ha influenzato e poi accolto a braccia aperte.
Suzhou River non poteva vedere la luce se non nel 2000, l’anno in cui gli scontri e le contraddizioni sociali del Novecento hanno lasciato spazio al senso di vuoto e spaesamento del nuovo millennio mascherato dietro a un fallace dinamismo e un’ambigua crescita morale. E finalmente dopo più di vent’anni dalla sua uscita arriva per la prima volta nelle sale italiane dal 14 luglio in una versione restaurata impeccabile in 4K, un’occasione imperdibile per conoscere un regista che in Italia è ancora sconosciuto con proprio il suo lungometraggio più sperimentale e particolare.
Suzhou River si apre in un modo spiazzante, il punto di vista non è esterno e la telecamera invece di essere testimone si trasforma in un vero e proprio personaggio, diventa l’occhio e la prospettiva di un fotografo scapestrato alla ricerca costante di qualche lavoretto e che sussurra intimamente la sua storia e l’incontro folgorante con Meimei, un’enigmatica ragazza che lavora come sirena all’interno di una grande vasca in uno dei bar più scialbi della città. Il loro è un amore che nasce all’improvviso, vissuto tra infinite passeggiate lungo il fiume Suzhou e un’alchimia costruita soltanto sugli sguardi, ma entrambi conoscono poco dell’altro e Meimei spesso sparisce per giorni a causa di qualcosa che la tormenta e la incuriosisce.
Per comprendere cosa si sta intromettendo nella vita della misteriosa sirena Lou Ye toglie la telecamera dagli occhi del narratore, la riposiziona nel normale punto di vista esterno e le fa raccontare la storia di Mardar e Moudan. La storia del complicato amore tra un corriere e la figlia di un malavitoso che sfocerà nella scomparsa della ragazza, che ha lo stesso volto di Meimei, e nell’assidua e incessante ricerca da parte di Mardar dell’amore che ha perduto che si scontrerà con la conoscenza proprio di Meimei. Un incontro che mescolerà e cambierà le emozioni dei quattro protagonisti di una storia al limite del reale che si affaccia sulla impenetrabilità di un fiume pronto a inghiottirli.
Se in Summer Palace (ve ne abbiamo parlato qui) Lou Ye racconta l’amore attraverso la Storia cinese e la sua evoluzione contemporanea in maniera preponderante e quasi ideologica, in Suzhou River questo aspetto resta in sottofondo per lasciare spazio alle sfaccettature emotive e sociali dell’essere umano. Due storie parallele costruite in contrapposizione, una vista dall’interno e l’altra osservata dall’esterno, che hanno in comune un fiume e che a causa di esso si uniscono verso un mistero che si pone al confine tra realtà e immaginazione. Lou Ye, in questo modo, riesce a creare spazi scenici unici e atipici, dialoghi con la telecamera e intimi racconti che sfondano la parete filmica che si uniscono a punti di vista diversi e più esterni per dar vita a una storia di amori tormentati, favole che si scontrano con la realtà, fughe e rincorse emotive per far emergere il tema del doppio, dell’amore come ossessione e l’empatia verso ciò che non siamo.
In Suzhou River sono i personaggi e il loro cambiamento a essere al centro, il loro desiderio di essere pervasi da un sentimento dedicato a qualcun altro, l’ossessivo desiderio di rimediare a un errore passato e arrivare a cercare qualcuno anche oltre la realtà logica, il tutto permeato dall’acqua di un fiume ancora più misterioso che riflette una città immobile, una città in continuo cambiamento ma che non fa altro che specchiarsi vanitosamente in qualcosa che la inghiotte in un fango da cui è impossibile uscire.
- Volete leggere altri Orient Express? Li trovate qui
Lascia un Commento