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Il Testamento del Mostro | Jean Renoir, Robert Louis Stevenson e le memorie di un cult

Jean-Louis Barrault, le ispirazioni, tra cinema e TV. Dove? In streaming su Rarovideo Channel

Jean Renoir e la sua troupe durante le riprese de Il testamento del mostro, un film del 1959
Jean Renoir e la sua troupe durante le riprese de Il testamento del mostro, un film del 1959

ROMA – Jean Renoir era solito focalizzarsi su personaggi spesso intrappolati in costumi sociali. Uomini poveri dalle vite in bilico su quella sottile linea di confine tra bene e male. Qualche esempio? L’intramontabile Jacques Lantier (Jean Gabin) ne L’angelo del male del 1938 e la scelta di una vita solitaria in cui annegare nel vuoto le proprie pulsioni omicide figlie del desiderio. Oppure Maurice Legrand (Michel Simon) ne La Cagna del 1931, cassiere con la passione per la pittura in un quadrilatero tra la tirannica moglie Adèle (Magdaleine Derubet), la dolce Lulu (Janie Marèse) e lo sfruttatore di lei, Dédé (Georges Flamant). Non deve sorprendere quindi sapere dell’interesse di Renoir verso il racconto di Robert Louis Stevenson del 1886, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde, per quello che sarebbe diventato poi il suo film televisivo del 1959, Il testamento del mostro, al centro della nostra nuova puntata di Longform (qui trovate le altre).

Il testamento del mostro di Jean Renoir fu presentato fuori concorso a Venezia 20
Il testamento del mostro di Jean Renoir fu presentato fuori concorso a Venezia 20

Il film – disponibile su Rarovideo Channel che trovate sia su Prime Video che su The Film Club – ne vede ricalibrata l’inerzia narrativa cucendola addosso a un formidabile Jean-Louis Barrault dalla doppia anima, nei panni ora del dottor Cordelier – rispettabile psichiatra percepito dalla comunità come un uomo virtuoso che incarna il dogma della rispettabilità sociale – ora del Monsieur Opale, un criminale violento mosso da vili impulsi che di quel dogma è espressione del più radicale rifiuto. Nel mezzo, un desiderio di trasgressione morale carburato da un agire libero da timori e giudizi, reso possibile da una pozione di sua creazione. Da qui l’intuizione narrativa nel riadattamento operato da Renoir ne Il testamento del mostro, ovvero il rendere Cordelier alias Opale del tutto consapevole del proprio potenziale immorale, dell’intrinseca corruzione del proprio io, torturato dall’incapacità di essere un individuo puro.

Jean-Louis Barrault nei panni del Dottor Cordelier
Jean-Louis Barrault nei panni del Dottor Cordelier

Non una dualità quindi, quella raccontata da Renoir con Il testamento del mostro – come invece appare evidente nell’opera originaria di scissione emotivo-cognitiva tra Jekyll e Hyde – perché non è raccontare il Bene o il Male l’obiettivo che si pone la narrazione di Renoir, piuttosto l’ambiguità della bontà morale e di un percorso di singolare rivelazione e liberazione dell’individuo esercitato attraverso sfoghi di impulsi e la concretizzazione di desideri. Una dimensione caratteriale esplosiva e mutevole resa vita da un Barrault allo stato dell’arte, abitualmente etichettato come rigido, secco, glaciale e di mimo leggero, qui capace di infondere alle due facce dello stesso agente scenico una fisicità calcolata dai movimenti dolci: elegante e aggraziato come Cordelier, brutalmente astratto e di gesti schizofrenici in pieno delirio come Opal.

E ancora Jean-Louis Barrault, stavolta nei panni di Monsieur Opal
E ancora Jean-Louis Barrault, stavolta nei panni di Monsieur Opal

Un’interpretazione da sogno resa possibile dalla visione di Renoir che per Il testamento del mostro scelse di provare qualcosa di diverso: «Si trattò di un film sperimentale che risultò dal mio lavoro a teatro. La mia convinzione che le riprese a spezzoni del cinema nuocciano alla recitazione dell’attore mi indusse a sperimentare un sistema di riprese nel quale l’attore potesse realizzare una propria progressione. Abitualmente quando si gira, appena l’attore è entrato nei panni del suo personaggio, il regista interviene. La ripresa è terminata. L’attore dovrà fare un grosso sforzo per farsi nuovamente coinvolgere. Purtroppo l’attrezzatura cinematografica, e in primo luogo la lunghezza delle bobine, non consente riprese senza stacchi. Qui mi accontentai di fare degli stacchi solo alla fine di ogni scena. Lavoravo in genere con tre o quattro macchine da presa. Gli attori erano entusiasti».

Jean Renoir nello studio televisivo del film
Jean Renoir nello studio televisivo del film

Il testamento del mostro fu, infatti, concepito sin dall’inizio come esperimento sull’immagine e sul rapporto della stessa tra differenti medium (cinema e televisione) Una dichiarazione d’intenti esplicitata dallo stesso Renoir come regista e ospite in studio che incastona la sua opera all’interno della cornice televisiva in una messinscena squisitamente teatrale. I mezzi produttivi della RTF – Radiodiffusion-Télévision Française furono messi a disposizione da Renoir che poté beneficiare di quella che, numeri alla mano, risultò essere come la più costosa produzione mai realizzata dalla televisione francese. Nonostante i commenti favorevoli della stampa di settore, il progetto suscitò ostilità da parte dei professionisti di un cinema francese sempre più in crisi e incapace di reggere il passo con la televisione, che arrivò al punto di chiedere ai distributori di boicottare il film accusando Renoir di avere ricevuto finanziamenti statali per la sua realizzazione.

Il testamento del mostro fu concepito da Renoir come un'opera cinematografico-televisiva
Il testamento del mostro fu concepito da Renoir come un’opera cinematografico-televisiva

Originariamente programmato per una distribuzione simultanea tra cinema e televisione, oltre che protagonista di un’accoglienza tiepida a Venezia nel 1959 dove fu presentato fuori concorso, Il testamento del mostro soffrì di numerosi problemi di carattere legale. Una legge francese proibisce, infatti, di trasmettere un film in televisione non prima che siano passati cinque anni dalla sua uscita in sala. Ci vollero due anni prima che l’opera cinematografico-televisiva di Renoir potesse (finalmente) vedere il buio della sala. Precisamente il 16 novembre 1961, a Parigi, dove il film fu trasmesso dalla RTF e parallelamente proiettato al cinema George V. Una piccola nota di colore che non fa che alimentare l’interesse e il luminoso retaggio di un’opera certamente minore se rapportata allo sterminato opus renoiriano, eppure straordinaria ancora oggi nella sua unicità artistica. Da (ri)scoprire ad ogni costo.

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