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Il Regno | Stefano Fresi, la Salaria e quella commedia (medievale) che non ti aspetti

Libertà, utopia e uno strano feudo a Roma: ecco perché recuperare l’esordio di Francesco Fanuele

Il Regno
Fotinì Peluso, Stefano Fresi, Max Tortora e Silvia D'Amico ne Il Regno.

ROMA – Estro, scrittura, regia, idee che funzionano. Insomma, l’esordio di Francesco Fanuele dietro la macchina da presa uscito qualche anno fa (era il 2020) è di quelli vincenti. Del resto, lo spunto di partenza per il suo primo lungometraggio, Il Regno – ora disponibile in streaming dopo un’uscita in sala non felice – gli arriva direttamente da un suo cortometraggio (abbastanza lungo, oltre venti minuti) in cui raccontava la strana avventura di Giacomo e del suo feudo, lasciatogli in eredità da un defunto e discutibile padre. Sì, avete capito proprio bene: una vera e propria corte. Con sudditi, esercito e concubine. Solo che c’è un problema: qui non siamo nell’Anno Mille e nel Medioevo di ieri, ma nella Roma contemporanea del traffico, degli smartphone e del precariato.

Il Regno
Stefano Fresi è Riccardo… I ne Il Regno

Ma andiamo con ordine: la sceneggiatura, scritta dallo stesso Fanuele e da Stefano Di Santi, ha per protagonista un bravissimo Stefano Fresi (la parte di Giacomo, per ammissione del regista, è stata scritta pensando a lui) che, contattato dallo strambo avvocato Bartolomeo Sanna (Max Tortora), riceve come lascito un regno medievale da un padre che lo abbandonato trent’anni prima. Giacomo – che diventa Giacomo I, con tanto di corona – dovrà succedere al trono, emanare editti ed essere all’altezza del suo temuto e rispettato predecessore. Non solo, qui, scopre anche di non essere propriamente figlio unico: infatti, ha una sorellastra più piccola, Lisa (Fotinì Peluso), con cui dovrà instaurare un complicato rapporto.

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Fresi e Max Tortora

Allora, la divertente ed intelligente commedia medievale di Fanuele, sotto l’ombra di una notevole scenografia di cappa e spada, si interroga sul senso di comunità e su quanto sia – ieri e oggi – ricca di contraddizioni: l’apertura da ostracizzare, il timore del forestiero, il peso del potere centralizzato. Ma c’è anche una bella e utopica idea di vera libertà. Il tempo che diventa dilatato e la riscoperta delle piccole cose, la bellezza della vicinanza e dell’unione che fa la forza. Ed è chiaro quanto Il Regno sia stato influenzato dalla grande tradizione italiana della commedia: pur con le dovute e rispettabili distanze, il lungometraggio del bravo Fanuele si rifà ai capolavori maccheronici di Age, Scarpelli e Monicelli.

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Silvia D’Amico e Stefano Fresi

Nessuna esagerazione, ci mancherebbe, ma nello sconfinato panorama della commedia contemporanea italiana – che spesso e volentieri gira e rigira su se stessa – Il Regno spicca e si fa notare per essere qualcosa di fresco, bizzarro e innovativo. Insomma, lo spunto di un Re per caso, in un improbabile feudo sulla Salaria, di per sé funziona. Se poi si aggiunge una messa in scena attenta e una cast eccellente (e menzioniamo anche Silvia D’Amico, con un personaggio che ricorda il Truman di The Truman Show) allora il film diventa, addirittura, l’esempio perfetto per una nuova generazione di autori che sanno osare, sperimentare e capire il pubblico, offrendo loro, finalmente, qualcosa di nuovo. Un consiglio: recuperatelo.

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