Ileana Dugato MILANO – Quante volte alla fine di un horror o di un thriller abbiamo letto le parole “Ispirato a una storia vera”? Aumentano la tensione e la paura, fa più effetto. È il caso de Il cacciatore di donne, diretto da Scott Walker nel 2013 con Nicholas Cage e John Cusack. La storia si rifà ad uno tra i serial killer più efferati della storia: Robert Hansen. Originario dell’Iowa, con una personalità apparentemente tranquilla e mansueta – come sempre in questi casi d’altronde -, Hansen era stato fin da piccolo vittima di bullismo per la sua balbuzie e per l’acne sul viso. L’unico modo per sfogare la sua rabbia era andare a caccia nei boschi dell’Iowa vicino alla sua città natale, Estherville, motivo per cui divenne un abile cacciatore.
Quella che sentiva come una sua inettitudine non gli permetteva di parlare nemmeno con le ragazze, e questo lo portò a sviluppare un crescente odio contro l’altro sesso. Nel 1960 venne arrestato per aver dato fuoco a un garage scolastico e condannato a tre anni di reclusione. Al suo rilascio seguirono episodi di furti minori, anche se Hansen capiva che non poteva esserci più niente lì per lui. Decise così di trasferirsi ad Anchorage, in Alaska, dove fu subito accettato e benvoluto dalla comunità soprattutto per la sua disponibilità e per le sue incredibili doti nella caccia. Ma anche qui, il carattere di Hansen non tardò a riaffiorare e nel 1977 viene nuovamente arrestato per aver rubato una motosega e condannato a cinque anni di carcere.
Durante la sua prigionia venne sottoposto a una valutazione psichiatrica, al termine della quale gli venne diagnosticato il disturbo bipolare. Rilasciato appena un anno dopo, tentò di riconquistare la fiducia della comunità aprendo un panificio. Ma non passò molto tempo che la sua vera natura cominciò a prendere il sopravvento e presero il via una serie di terribili omicidi. Nel 1983 l’ultima delle sue vittime, Cindy Paulson, fu quella che permise di identificare Hansen e ricollegarlo a tutti gli altri omicidi. Arrestato, interrogato dall’FBI (che era stato chiamato sul posto per delineare un profilo del serial killer), arrivò a confessare l’omicidio di diciassette donne fra il 1971 e il 1983, mentre confessò lo stupro di altre trenta.
Hansen, come vediamo ne Il Cacciatore di Donne, aveva un preciso metodo per scegliere e uccidere le sue vittime. Erano principalmente prostitute o ballerine di night club. Venivano portate nei boschi, dove Hansen le torturava e seviziava, salvo poi lasciarle correre via e dare loro la caccia. Come in un gioco. Il serial killer teneva anche una mappa del territorio dove segnava con delle X i luoghi in cui aveva lasciato i cadaveri delle donne che sventuratamente lo avevano incrociato nel loro cammino: nonostante la sua confessione, sulla mappa c’erano ventiquattro X. Per gli omicidi, Hansen venne condannato a 461 anni di carcere e a un ergastolo, senza la possibilità di sconti di pena. E si trovava ancora recluso, anche se in ospedale, quando morì nell’agosto del 2014 a settantacinque anni, per problemi di salute che però non sono mai stati rivelati ufficialmente. Veramente una storia degna di un film, se non fosse anche tragicamente reale.
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