MILANO – È una favola terribile quella raccontata da John Boyne, scrittore irlandese ne Il bambino con il pigiama a righe. Il romanzo, pubblicato nel 2006, libro di finzione ma ispirato a una pagina della storia che tutti conosciamo bene, è diventato poi un film nel 2008, diretto da Mark Herman con Asa Butterfield e Jack Scanlon, e che in occasione del Giorno della Memoria è diventato un classico capace di raccontare l’orrore dell’Olocausto. Come abbiamo detto, la storia (così come i suoi protagonisti) è inventata – nelle intenzioni dell’autore doveva raccontare la tragedia consumatasi in Germania attraverso la purezza e l’innocenza dei bambini –, ma l’amicizia tra i due protagonisti, più forte dell’odio e della crudeltà dei nazisti, non ha ancora smesso di lasciare il segno perché filma l’orrore ad altezza di bambino, oltre la folle ideologia politica.

Il bambino con il pigiama a righe racconta la storia di Bruno e Shmuel, due bambini di nove anni, così simili eppure così diversi: Bruno è il figlio di un comandante tedesco a cui è stato affidato il controllo del campo di concentramento di Auschwitz, dove sono stati deportati Shmuel e la sua famiglia. Dalla sua camera, il piccolo Bruno vede in lontananza il campo recintato (quasi come ne La zona d’interesse) e gli uomini e le donne che lo abitano, ma non sa cosa sia. A dire il vero, nemmeno gli altri componenti della sua famiglia lo sanno. Credono si tratti semplicemente di un campo di lavoro, perché il padre ha ricevuto l’ordine di tenerne nascosta la vera natura. Preso dalla curiosità tipica di un bambino della sua età, Bruno si avventura nelle vicinanze del campo e, sul confine, proprio al di là del recinto spinato, incontra Shmuel.

I due iniziano a parlare, poco a poco nasce una profonda amicizia, anche se Bruno non riesce ancora a capire perché quel ragazzino così simile a lui si trovi lì, o perché indossi sempre quella divisa che lui battezza come “pigiama a righe”. L’epilogo è tristemente noto: Bruno entra di nascosto nel campo per aiutare Shmuel a trovare suo padre, vestendosi come uno dei detenuti, ma il caso vuole che proprio in quel momento i soldati tedeschi li chiamino a raccolta per condurli nelle camere a gas, e quando i genitori di Bruno si accorgono dell’accaduto è ormai troppo tardi. Nonostante la potenza del racconto, il libro prima, e successivamente anche il film, furono molto criticati, in particolare dai sopravvissuti e dagli ebrei che vissero come testimoni di quegli anni.

Il Rabbino Benjamin Blech aveva sostenuto che «questo libro non è propriamente né una bugia né una favola, è una profanazione», fondamentalmente per come faccia passare l’idea che la gente comune non fosse a conoscenza di quello che succedeva, ad Auschwitz come negli altri campi di concentramento. Senza contare che il destino dei bambini che vi arrivavano era molto più tragico di quello mostrato nel film, affermando come «i nazisti gassavano immediatamente tutti coloro che non fossero abbastanza grandi per lavorare». Ma discussioni sulla fedeltà storica a parte, Il bambino con il pigiama a righe rimane comunque quella favola che colpisce nel profondo, e ricorda – ancora una volta – l’inferno che la civiltà umana è riuscita a creare. Nel 2022 è uscito il sequel del libro, All the Broken Places, in cui si racconta di Gretel, la sorella del piccolo Bruno, ora 91enne e residente a Londra…
- Volete leggere altre Storie? Le trovate qui
- VIDEO | Qui il trailer del film:
Lascia un Commento