ROMA – A ventuno anni da Open Range: Terra di confine questa volta Kevin Costner è tornato dietro la macchina da presa con un nuovo film e una nuova epica: quella di Horizon: An American Saga. Una cronaca sfaccettata in due parti che copre l’espansione della Guerra Civile e l’insediamento nel West americano e come è stato vinto – e perso – attraverso il sangue, il sudore e le lacrime. Attraverso i quattro anni della Guerra Civile, dal 1861 al 1865, l’avventura di Horizon ci porta in un viaggio attraverso un Paese in guerra, vissuto dal punto di vista di famiglie, amici e nemici, nel tentativo di scoprire cosa siano veramente gli Stati Uniti d’America. Nel cast, oltre a Costner, Sienna Miller, Sam Worthington, Jena Malone, Michael Rooker, Danny Huston, Will Patton e Luke Wilson. Dal 4 luglio al cinema con Warner Bros. Pictures.
A Cannes – dove è stato presentato fuori concorso – è stato accolto con un tripudio Horizon. Chi c’era lo sa già, chi non c’era lo ha potuto vedere nelle immagini dopo la prima mondiale. Costner acclamato come un eroe, con 7 minuti di standing-ovation, in lacrime, con accanto i suoi figli. Un’emozione invidiabile. In conferenza stampa ha rivelato ai colleghi della stampa presenti, che in quel momento ha ripensato a tutta la sua vita. Alle cadute, alle risalite, ai successi. D’altronde è del regista di Balla coi lupi che stiamo parlando, con Gli Spietati di Clint Eastwood il più grande western revisionista degli ultimi trent’anni, nonché uno degli esordi più folgoranti della storia del cinema assieme a Quarto Potere di Orson Welles del 1941 e Reds, di Warren Beatty, del 1981. Perché Horizon ha rappresentato molto più che un semplice film per Costner.
È il coronamento della sua ossessione amorevole, benevola e follemente geniale per il western, ovvero «Il genere americano per eccellenza» per usare le immortali parole del critico dei Cahiers du cinéma, André Bazin. Basti pensare che Costner, per Horizon, ha investito 38 milioni di dollari di tasca propria, ha venduto proprietà, ha rinunciato (giustamente diciamo noi nda) al ruolo di John Dutton in Yellowstone scontrandosi apertamente con la produzione e in primis il suo creatore, Taylor Sheridan, ha scritturato suo figlio Hayes, all’esordio sul grande schermo, semplicemente per averlo vicino con sé durante la lunghissima lavorazione. Quindi Horizon come western epico in larga scala – nella costruzione delle immagini come nelle intenzioni narrative – ma non nel respiro delle vicende trattate. Perché non è un’epica d’azioni all’ombra delle leggendarie Monument Valley quella di Horizon, ma di uomini e donne comuni.
Horizon racconta di onore, vendetta e speranza, di rinascite e nuovi inizi, di uomini corrosi dal dolore e altri pronti ad accoglierlo, in una narrazione impropriamente episodica e armonizzata da un montaggio dolce e morbido che è celebrazione del western classico nella sua rielaborazione moderna dei topos classici del genere. C’è la storia della Cavalleria con le sue tradizioni (I Cavalieri del Nord Ovest), la carovana che va a Ovest come espressione romantica del Mito della Frontiera in cerca del proprio Sogno Americano (La Carovana dei Mormoni), l’avventuriero solitario che approda in una cittadina sperduta, dilaniata da uomini malvagi (Il Cavaliere della Valle Solitaria) e la classicissima dicotomia cowboy-indiani. Costner, però, sceglie di avvolgerli tutti di un sapore crepuscolare. È l’ultimo atto del West quello che vuole raccontare in Horizon, il suo tramonto, quando la civilizzazione è prossima ad arrivare così come la Guerra di Secessione.
Ma siamo nel Vecchio e Selvaggio West, dove: «Se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda» per citare il fordiano L’uomo che uccise Liberty Valance che nel 1962 seppe raccontare meglio di tutti del crepuscolo del West e dei suoi valori. Quindi le leggende di Horizon, i suoi eroi: Hayes Ellison (lo stesso Costner), il Capitano Matthew Van Weyden (un formidabile e inedito Wilson), il Primo Tenente Trent Gephardt (Worthington intenso come non mai), Frances Kittredge (la Miller come cuore romantico del film) che impareremo a conoscere, passo passo, dopo questo abbozzo iniziale. Perché in realtà Horizon, nonostante i suoi 181 minuti di durata che catturano e avvolgono lo spettatore ricordandogli il valore della sala cinematografica come luogo di esperienza condivisa, è solo il primo tassello di un lungo viaggio nelle memorie del tempo – del cinema – e della storia americana.
È il primo atto di una grande epica in due parti – con la terza già in lavorazione e una quarta in pre-produzione – che parla all’uomo comune tra compassione, scontri a fuoco fragorosi, eroismo e umorismo quanto basta. Un film, Horizon, nato dalla tradizione del genere, dichiaratamente seriale, nel cinema e per il cinema, che nel sottolineare ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno!) la bravura del Costner regista sottovalutato, narratore eccezionale, creatore di mondi e intessitore di immagini, testimonia l’importanza del cinema western come veicolo di valori sani e di grandi avventure cinematografiche, ora e per sempre.
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