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Terra di confine | Kevin Costner, Robert Duvall e lo scontro tra mondi

Aspettando Horizon, la terza regia del Premio Oscar è un western tra le praterie del Montana

terra di confine

MILANO – Terzo e penultimo film con Kevin Costner dietro la macchina da presa, secondo western del regista/attore dopo l’esordio con i sette Oscar (tra cui Miglior Film, Regia e Sceneggiatura non originale) di Balla coi lupi. Non male come premessa, e a dirla tutta il film non delude affatto, confermando Costner nel ruolo di amante, sperimentatore e autore consapevole del western di fine secolo. Al suo fianco, nel sottovalutato Terra di confine – lo trovate su Prime Video e Infinity – un superlativo Robert Duvall nei panni del vecchio saggio. Charlie (Kevin Costner) e “Boss” (Robert Duvall) sono due mandriani nomadi con un passato da dimenticare che cavalcano per le praterie del Montana (anche se il film è girato in Canada) insieme ai due aiutanti più giovani Mose (Abraham Benrubi) e Button (Diego Luna).

Terra di confine
Kevin Costner è Charlie in Terra di confine

I due personaggi principali sono profondamente strutturati e i loro fantasmi emergeranno gradualmente nel corso del film, ma da subito è chiaro che il loro vivere in totale assenza di regole scritte, trova il suo equilibrio in una gerarchia ben determinata (Boss comanda, gli altri eseguono e al massimo suggeriscono) e in una moralità rigidissima fondata sulla reciproca fiducia, un rispetto esasperato per la suddivisioni dei ruoli e una pedagogia cameratesca con cui insegnare ai più inesperti come stare al mondo. Il conflitto da cui si snoda la narrazione arriverà presto, quando la piccola tribù si imbatterà nel ricco, violento e arrogante ranchero Baxter (Michael Gambon), immigrato irlandese che, dopo aver acquistato grandi appezzamenti di terreno, ha fondato una cittadina alle sue dipendenze e ora sta meditando di allargare i suoi possedimenti alle libere e sterminate praterie al di là della collina, dove pascolano senza fissa dimora Boss, Charlie e le loro mandrie. Sarà un crescendo di minacce, scaramucce, rappresaglie e, infine, guerra.

Terra di confine
Robert Duvall è Boss

Bisogna dire che il titolo italiano non aiuta molto la lettura del film. Molto meglio l’originale Open Range (letteralmente “campo aperto”) perché sottolinea il ruolo fondamentale che giocano il nomadismo dei protagonisti e il loro rapporto con libertà e autodeterminazione. La figura del mandriano, la sua purezza valoriale e la sua appartenenza ad un pacifico stato di natura che ha più in comune con Locke e Rousseau che con Hobbes, serve a Costner per osservare l’espansione del sedicente mondo civilizzato da un punto di vista esterno. Nel suo essere “randagio” (come lo chiamano in città) il protagonista si colloca dalla parte degli oppressi, dei non-capiti, assumendo le caratteristiche animalesche che il western classico assegnava culturalmente e strutturalmente al mondo indiano, ma essendo bianco elimina la connotazione puramente razziale dello scontro, spostando l’accento sulle motivazioni strutturali (morali ed economiche) del conflitto tra gli stanziali e i nomadi, tra gli esponenti spregiudicati di un espansionismo senza scrupoli e un innocuo manipolo di uomini liberi che cercano la loro innocua pace in una natura sconfinata e senza recinzioni.

Terra di confine
Una scena di Terra di confine

Se dunque a prima vista sembra che Costner abbia abbandonato il revisionismo western del suo primo film, in realtà il suo giudizio sull’oppressione dei popoli nativi resta del tutto invariato e, anzi, adesso si spinge fino a collocare i valori fondanti della cultura americana proprio dall’altra parte del confine, nei cuori puri di chi è tormentato da una guerra civile che non voleva combattere, che pensa agli affari suoi lontano dal mondo, che vuole semplicemente vivere in un mondo di pace e giustizia (rigorosamente separata dalla vendetta).Terra di confine sembra dirci, però, che lo scontro tra il nuovo mondo (civile) che avanza e il vecchio (naturale e originario) che si ritrae fino a scomparire, forse non era inevitabile. Sarebbe stata possibile una convivenza se non fosse stato per qualcuno…

Annette Benig è Sue

La lotta, peraltro, non è neanche alla pari, perché non si tratta di combattere per la proprietà di una mandria o per staccionare un terreno (e qui Costner abbandona Rousseau e resta nel campo liberale), ma di qualcosa di più ampio. La minaccia per i mandriani (ma per transizione riguarda anche gli indiani) è del tutto esistenziale, come dice chiaramente Boss prima di inaugurare il conflitto: voler rubare “una vacca è una cosa, ma un uomo che dice a un altro uomo dove può andare è un’altra”. Ecco il punto, ecco la colpa: l’aver imposto ad altri cosa fare della propria vita, dove andare per viverla. E con che diritto? Nessuno, ovviamente.

Un’immagine di Terra di confine

E tuttavia da questo peccato originale viene salvato il concetto di Unione americana: quando lo scontro sembra ancora evitabile, la signora Barlow (Annette Bening) suggerisce infatti di chiamare “lo sceriffo federale” per risolvere la controversia e nessuno ha obiezioni, nessuno ha dubbi sul fatto che egli risponderebbe positivamente alla chiamata, se solo non fosse distante sette giorni di cavalcata. L’errore non è dunque lo Stato in sé – di cui anzi sembra essercene troppo poco in quel lontano Montana – né la civilizzazione in generale (anche Charlie finirà con lo scegliere quel tipo di vita), bensì l’imposizione forzosa di queste istanze, specie se non è portata avanti dai vertici politico-militari dello Stato unitario (portatori dei “veri valori” che starebbero certamente dalla parte del giusto), ma da piccoli potentati locali che hanno più in comune con organizzazioni mafioso-feudali che con i meccanismi di salvaguardia e difesa dei cittadini proprie delle Nazioni compiute.

Una scena del film

E allora per portare a quel compimento la formazione di una Nazione ancora acerba, i rappresentanti dei valori fondanti americani sono chiamati allo scontro. Da un lato vi sono costretti dall’aggressione altrui (incominciano sempre i cattivi ad attaccar briga), ma dall’altro trovano la forza nella loro austerità morale e in una profonda devozione alla libertà, perché “ci sono cose che uccidono un uomo ben più della morte”. L’esito è una disputa epocale, epica, che diventa simbolicamente uno spettacolo tragico (rimandato per pioggia) a cui la gente comune assiste come fosse il coro del teatro: prima osserva passivamente per timore (la gente comune ha paura, è innocente e non deve essere coinvolta), poi iniziando a tifare (quando emerge per cosa i duellanti stanno combattendo, qualcuno inizia a dire la sua), infine intervenendo in modo decisivo, perché la brava gente, come disse il maestro De Gregori: «Quando si tratta di scegliere e di andare, te li ritrovi tutti con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare».

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