CANNES – A ventuno anni da Open Range: Terra di confine questa volta Kevin Costner ritorna sulla Croisette – fuori concorso – con una regia e una nuova epica: quella di Horizon: An American Saga, una cronaca sfaccettata – in due parti – che copre l’espansione della Guerra Civile e l’insediamento nel West americano. Scritto con Jon Baird, il film esplora il fascino del West e come è stato vinto – e perso – attraverso il sangue, il sudore e le lacrime. Attraverso i quattro anni della Guerra Civile, dal 1861 al 1865, l’avventura di Costner ci porta in un viaggio attraverso un Paese in guerra, vissuto attraverso il punto di vista di famiglie, amici e nemici, nel tentativo di scoprire cosa siano veramente gli Stati Uniti d’America. Nel cast, oltre a Costner – tra gli altri – Sienna Miller, Sam Worthington, Jena Malone, Danny Huston e Luke Wilson. I due film arriveranno in Italia in due date diverse: Capitolo I – dal 4 luglio – e Capitolo II – dal 15 agosto. Ecco come il regista e attore ha raccontato il film alla stampa dopo una prima decisamente commovente.
LA SERA DELLA PRIMA – «La sensazione che ho provato dopo la prima qui al Palais è stata incredibile, spero possiate provarla tutti un giorno. È stato un momento straordinario, mi sono ritrovato a tornare indietro nel tempo mentre guardavo le persone che non pensavo mi dessero tanta gioia e sentimento e tanto amore intorno a me. Non me lo aspettavo. In quel momento ho iniziato a ripercorrere la mia vita, all’indietro, pensando a come diavolo sono arrivato qui. L’idea che i miei figli fossero presenti con me ha reso tutto ancora più speciale. Il lavoro di ricerca di Horizon? Beh, è stato molto approfondito. Ho letto di questo periodo per tutta la vita, ho cercato di attingere nel modo giusto. Molto è partito dai dipinti, poi foto dell’epoca. Volevo che i costumi fossero perfetti. Sono sempre molto importanti nel mio cinema».
HAYES ELLISON – «Con il personaggio che interpreto nel film è iniziato tutto nel 1988, anche prima di Balla coi Lupi. Nonostante la fama, io e Hayes abbiamo molto in comune. Ho problemi con i miei figli e ci sono stati problemi anche nel realizzare Horizon, ma per qualche motivo ho sempre tenuto il nome del personaggio, Hayes Ellison. Non l’ho voluto lasciare andare. Faceva parte del mio viaggio. Ad un certo punto della mia vita, ho voluto chiamare così mio figlio, Hayes Costner, perché non volevo lasciare svanire quel nome. Poi, all’improvviso, l’ho messo nel film che era un ragazzino, non so se lo sapete ma avete visto tutti Horizon: il ragazzino che non vuole lasciare suo padre è mio figlio. Prima di oggi non aveva mai recitato. Non sono uno che dà automaticamente la parti ai figli perché so quanto quest’industria sia difficile e so che ci sono persone per cui è un sogno, ma sono anche un padre e volevo che fosse con me quando sarei stato lontano da casa, lontano dalla mia famiglia».
I WESTERN – «Horizon è esattamente ciò di cui voglio che il mio cinema parli. Nel film c’è questa scena, che odi, perché lui non si è mai abbassato, non è andato con sua madre, ma con suo padre. Lì ti rendi conto che ha commesso un errore, un errore fatale ed è questo che mi attrae dei western. Abbiamo la tendenza a pensare ai western come film semplici, ma non lo sono affatto. Vivere a Parigi o a Los Angeles è semplice, ma non nel West. Le persone avevano problemi veri, non condividevano la lingua, c’erano armi ovunque e nessuna legge. Quando Hollywood fa western semplici, li trovo banali, per niente attraenti. Un buon western deve avere un livello di complicazione, ci deve essere qualcosa in gioco, deve avere compassione, epica, scontri a fuoco e umorismo…».
IL CINEMA REALE – «Non credevo all’inizio che con Jon (Baird, co-sceneggiatore) avrei scritto Horizon con personaggi femminili come principali, ma ha senso. Nel film c’è questa donna europea che non conosce le regole del West e che si sentiva così sporca che voleva bagnarsi con l’acqua calda per pulirsi. Voleva essere pulita, sentire l’idea di essere pulita, come tutti noi. Molte persone direbbero che non ha senso avere una scena del genere in un film inteso come un testamento western, ma per me invece è la cosa più logica possibile in un western. I film devono avere qualcosa in comune con te altrimenti perdi traccia di ciò che stai guardando. Scene così servono per riconoscerci, perché è di questo che è fatto il cinema, di momenti da non dimenticare…».
CANNES – «Sinceramente non pensavo sarebbe stato così difficile realizzare Horizon, convincere la gente a investirci. Ho realizzato altri film e non penso che i miei film siano migliori di quelli di chiunque altro, ma non penso che quelli di nessun’altro siano migliori dei miei. Faccio cinema per me, ma soprattutto per le persone. È uno schema: Balla coi Lupi, L’uomo dei sogni, sono ottimi film, Terra di Confine, le cose che amo sono sempre difficili da realizzare. Il mio problema con il cinema è che non mi disamoro mai, penso sempre ci sia qualcosa di buono e cerco di approcciarmi al film in modo tradizionale. Quel che voglio dire è, guarda il golfo, qui, è pieno di barche qua fuori, è pieno di miliardari lì fuori, ma non qui. Noi siamo qui perché non vogliamo smettere di sognare. Nessuno di loro, lì, investirà mai in una casa di produzione cinematografica, e il fatto che non lo facciano è un’ottima domanda, anzi, direi più un’ottima risposta…».
LA MAGIA – «Io so solo che quando le luci si spengono e sono in un cinema può accadere qualcosa di magico. È per questo che di Horizon vorrei poter fare anche Capitolo III e IV. C’è una storia. Una storia che ci accompagnerà in un posto per tre ore e per tre ore noi saremo insieme. Non ci sono impegni per quelle tre ore, non dobbiamo andare al lavoro né accompagnare i figli a scuola, non dobbiamo fare nulla, solo dare alla magia del cinema una possibilità. Credo di aver avuto molta fortuna, nella vita come nella carriera. Ho acquistato cose e anche case. Ne ho quattro di case. Sono preziose, e ok, vorrei lasciarle ai miei figli, ma so anche che i miei figli dovranno camminare con le loro gambe e vivere da soli la propria vita. Se sarà necessario le venderò, rischierò le case pur di portare avanti la saga di Horizon, i miei film, il mio cinema…».
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