ROMA – Vittime di guerra. Non soltanto i corpi martoriati, che affollano i campi e i mari di battaglia, impossibilitati a far ritorno in Hey Joe. Ma anche coloro che la porta di casa l’hanno raggiunta nuovamente, feriti nell’animo, nella memoria e ancora sui corpi, tappezzati di cicatrici, che un po’ ricorderanno la morte e un po’ ricorderanno l’amore. Quello repentino, necessario e intenso, capace di alleviare i dolori e l’isolamento della guerra, più di ogni altra cosa. Lo stesso amore che Dean, soldato americano a Napoli nel 1944, da giovane uomo non ancora adulto, ha vissuto felicemente con una ragazza del posto, dovendo poi partire, nonostante la gravidanza di lei, nonostante la vita che avrebbe potuto essere.

Venticinque anni più tardi, nella cassetta postale di Dean (uno straordinario James Franco, che nella giovinezza perduta fuori e dentro il film, rintraccia una solida e dolorosa osservazione sul tempo trascorso), nel New Jersey, un telegramma stampato diversi anni prima, annuncia una morte e al tempo stesso un desiderio d’infanzia. Ecco che tutti quei fantasmi della memoria e dell’amore napoletano, fino a lì sepolti, tornano ad affollare nuovamente i pensieri tormentati, eppure lucidissimi di Dean. Di fronte al passato, che in qualche modo fa capolino, annunciando oppure no la sua venuta. Ecco perché Dean non può far altro se non tornare.

In Italia però, ciò che è rimasto non può che rispondere alle lacerazioni della guerra e dell’amore. Chi per sopravvivere è divenuto criminale, chi invece, incapace di accettare l’amore, quello vero, non può far altro che (s)vendere sé stesso. Questo accade a Enzo (Francesco Di Napoli è un volto così efficace, da raggiungere con un solo sguardo un intero rimosso e un profluvio di sensazioni ed emozioni, altrimenti affidate al dialogo, mentre qui al silenzio e al sorriso) e ad Angela (che brava Giulia Ercolini, incessantemente sospesa tra dolore e spensieratezza), due delle anime perdute che Dean immediatamente intercetta. La prima, quella di un figlio dimenticato e forse una volta per tutte ritrovato, la seconda, quella di un amore possibile, eppure tormentato.

Claudio Giovannesi a distanza di cinque anni dal sottovalutato, eppure più che notevole La paranza dei bambini, torna dietro la macchina da presa, realizzando il suo più compiuto, maturo, doloroso e al tempo stesso colmo di speranza. Anche la speranza però, veste a lungo i panni logori, sporchi e macchiati di sangue della rassegnazione. Quella che James Franco, cui Giovannesi costruisce e offre l’interpretazione di carriera, porta su di sé. Sul volto segnato dal tempo e sul corpo, che lentamente e goffamente si trascina tra i vicoli di Napoli, sbandando di tanto in tanto e afflosciandosi dolentemente su scalini, materassi e così sulla sua stessa esistenza, macchiata dalla guerra e dalle colpe mai assolte, di un uomo che in preda all’alcolismo e alla memoria ha sempre fallito. Non questa volta, si ripromette Dean.

L’Italia di Hey Joe dunque è quella delle seconde occasioni. Complessa, stratificata, buffa, violenta e in definitiva dolce. Dall’innocenza perduta di Enzo, violentata da un sistema criminale che è stato e ancora è famiglia, all’amore negato eppure osservato da Angela, che dalla famiglia fugge e si nasconde, celandosi in un’esistenza effimera, capace forse di farla apparire l’eterna ragazza che vorrebbe continuare ad essere, eppure non è. Ad entrambi è concessa una seconda occasione. Dean infatti, è lo spirito del passato, del presente e così del futuro, capace di mostrargliela. Dopo di che l’attesa e l’osservazione di chi realmente vuol tornare a vivere, o di chi invece desidera restare ancora e per sempre il figlio perduto di una terra di nessuna. Quella conflittuale, violenta e omertosa animata dalla Camorra, una delle molte presenze sotterranee del film di Giovannesi, incarnata appieno dal boss di Aniello Arena, dapprima quieto, poi oscuro e spietato.

Un film anomalo e unico nel suo genere, capace di tornare ad un cinema del reale, magico e di strada, proprio di autori quali Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Pier Paolo Pasolini e Mario Monicelli, osservando e riflettendo sull’infanzia perduta e dimenticata, le conseguenze della guerra, dolorosa e surreale e così la maschera buffa dei volti che attorno a tutto questo gravitano e sopravvivono come meglio possono, rintracciando nella prostituzione e più in generale nell’illegalità, l’unica via di fuga dalla povertà. Due lingue e due destini che incontrandosi e scontrandosi danno vita ad una terza via, che è quella del perdono, della speranza e forse perfino del sacrificio, come ultimo atto d’amore e di riscatto morale, di chi ha sempre vissuto nella colpa e nella convinzione di non poter riparare mai, non realmente, non a fondo.

Gridano a Hey Joe, mostrandosi per ciò che sono oltre i panni logori, le giovani donne del paese, ai soldati americani sospesi tra guerra e repentino amore. Lo sussurrano invece Enzo e Angelo, nella speranza che Dean ascolti e la vita ricominci. Lode a Claudio Giovannesi. Hey Joe è quel modello di grande cinema dal respiro magico, reale, crudo e internazionale, che fin troppo a lungo abbiamo dimenticato essere nostro. Non lo scorderemo più, grazie agli amori ritrovati e nonostante le speranze perdute.
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