VENEZIA – Dolcetto o scherzetto? Alla porta bussa una bambina vestita da zombie: cappuccio nero e due fori per gli occhi. Da quel momento, per la piccola Camilla, si spalancano una serie di domande alle quali, probabilmente, troverà risposta quando sarà troppo tardi. Giorgio Diritti, reduce dal successo del suo Ligabue rivisto in Volevo Nascondermi, nel suo cortometraggio Zombie, presentato come evento di chiusura alla Settimana della Critica 35, in poco più di dieci minuti racconta quanto l’alienazione e la conflittualità tra genitori sia una condanna per i propri figli.

Possiamo dire che oggi l’alienazione è il male principale della società?
«Quella di mettere in mezzo i figli, usandoli come strumenti di competizione è una dinamica antica tra genitori. Ma la cosa è devastante e assume degli aspetti quasi patologici, come se i bambini fossero solo strumento di punizione. È molto triste, e crea dei traumi che porteranno sulle spalle per tutta la vita. Per un bambino, non capire cosa succede, è una situazione angosciante. Lascia interrogativi aperti difficili da chiudere…».

A modo suo, la mamma, è un personaggio negativo. La vendetta è sul marito, ma passa proprio attraverso la figlia.
«Credo siano dei meccanismi che avvengono senza una presa di coscienza completa. Infatti il titolo Zombie racconta una dimensione in cui si trovano bambini e genitori. La madre è un po’ uno zombie che non si rende conto di cosa sta facendo. Accecata dalla rabbia, accecata da questo demone che prende il controllo».

Com’è nato Zombie?
«La sceneggiatura è nata parlando con i ragazzi, durante il corso di scrittura e regia fatto a Bobbio per la Fondazione di Bellocchio. Ho chiesto: perché non raccontate qualcosa di voi, delle vostre esperienze? Sono venuti fuori racconti veri, tra conflitti e separazioni. Le condizioni hanno fatto si che si creasse la messa in scena di una delle parti più estreme di questa conflittualità».

Che consigli dai ad un giovane regista? I cortometraggi aiutano?
«Un corto aiuta molto, si comincia a capire la capacità di raccontare. Spesso ci si preoccupa della forma e poco del contenuto: il consiglio che do, quindi, è raccontare storie che abbiano senso e sviluppo, che siano un racconto. E allora, leggete le favole, hanno la sintesi di esplicare le storie. Ed è importante mettere al centro del film la narrazione».
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