MILANO – Opinioni differenti o no, fazioni diverse o critici scettici, tutto quello che volete, ma è evidente che ormai non ci sono più dubbi: Paul Thomas Anderson è un grande, e fra pochi anni sarà studiato sui libri di cinema. Perché? Perché è l’unico regista americano degli ultimi vent’anni che persegue una statura classica e magniloquente ma, nello stesso tempo, personalissima e anticonvenzionale. E allora qui andiamo indietro nel tempo, siamo nel 2007, per raccontarvi della coppia formata con Daniel Day-Lewis che entrò di prepotenza nella storia con un film che all’apparenza era un kolossal, in realtà un film con un budget non superiore ai 25 milioni di dollari, cifra decisamente contenuta per gli standard di Hollywood.

Ciò non toglie che il quinto lavoro di Anderson sia uno spettacolo tecnico impressionante, coordinato da un direttore d’orchestra che cura nei minimi dettagli ogni aspetto: piani sequenza, carrellate, una colonna sonora nervosa e sincopata, fatta di incessanti dissonanze, firmata dall’ormai fedelissimo Jonny Greenwood. Il connubio tra sonoro e visivo è devastante. Il petroliere – lo trovate in streaming su Paramount+ – racconta l’ascesa economica di Daniel Plainview, cercatore di petrolio, descritto in tutta la sua travolgente ambizione. Anderson non ha paura di scavare e affrontare le radici del capitalismo, concentrandosi sulla sua smisurata attrazione distruttiva.

Ma questa non è una semplice storia di denaro e di potere, troppo facile: lo sguardo del regista attraversa tutti gli aspetti dominanti della società occidentale, analizzando le loro contraddizioni, dal successo all’individualismo, dalla famiglia alla religione. Un viaggio agli inferi dell’avidità e della sopraffazione, ma anche uno scontro disumano tra due rappresentanti della cultura americana, il capitalista Plainview contro l’evangelista Eli Sunday (il sorprendente Paul Dano, sempre più grande e non stupisce poi Wildlife), entrambi corrotti e corruttori, spinti al compromesso soltanto per reciproca convenienza, ma che finiranno per divorarsi e umiliarsi («Io sono un falso profeta, Dio è una superstizione…»).

Tantissimi i momenti memorabili: da citare almeno la drammatica sequenza dell’incidente che causa la sordità del piccolo H.W., adottato da Plainview per questioni di immagine e non per desiderio di paternità; la confessione di Plainview in Chiesa e la sua richiesta di perdono; l’animalesca resa dei conti tra il protagonista ed Eli in una sala da bowling. E di fronte a questa sporca e nichilista parabola di fango, sangue e cinica ricerca della felicità, le donne scompaiono, non hanno un ruolo.

Otto nomination agli Oscar del 2008, Il petroliere divise pubblico e critica tra chi se ne innamorò subito e chi gli preferì Non è un paese per vecchi dei Coen. Sconfitto, alla distanza forse (anzi, togliete pure il forse) ha preso la sua rivincita nel corso del tempo. Vinse soltanto per la fotografia di Robert Elswit e per il miglior attore protagonista, un Daniel Day-Lewis premiato per la seconda volta in carriera (poi sarebbe arrivato il terzo), posseduto dai demoni e da Dio. «Io vedo il peggio nelle persone. Solo uno sguardo mi basta per sapere chi sono in realtà…».
- LONGFORM | Il Petroliere, l’ultimo kolossal americano
- AUDIO | Un pezzo della colonna sonora di Jonny Greenwood:
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