MILANO – Per capire che direzioni stia prendendo il cinema, spesso non serve (o non basta) seguire le prime visioni o i grandi titoli, ma è più conveniente tener traccia del sottobosco di film su cui le case di distribuzione e produzione investono meno, perché la maggior parte delle volte è proprio dalle parti del low budget e della sperimentazione che si nascondono le idee migliori, quelle che vanno scovate e che, un domani, potrebbero contribuire alla costruzione di un film di grandi pretese che, di solito, non è altro che un complesso edificio in cui le migliori buone idee non ancora alla ribalta vengono sommate e originalmente riproposte. Questa teoria vale, in modo particolare, per il nostro amato cinema western che vi raccontiamo qui in West Corn.

Un genere che ha il problema di essere legato ad ambienti e tematiche che appartengono ad un certo mondo predeterminato, e che per sopravvivere (o, meglio, per ri-vivere) deve continuamente reinventarsi, riaggiornarsi e reinterpretare se stesso in modo da rimanere all’altezza delle aspettative dei nuovi spettatori, che – evidentemente – hanno sensibilità molto diverse rispetto ai fruitori degli Anni ’30, ma anche di quelli degli Anni ’70 o ’90. E cosa sta succedendo, dunque, in quel sottobosco che conta decine di uscite di cui nei Cinema non si è neanche sentito parlare? Ovvero, la domanda che vogliamo fare è questa: ma il western è vivo o morto?

A un primo sguardo, la cosa che emerge è il diffuso interesse di attori importanti per questo genere, i cui nomi spiccano per notorietà più di quelli dei registi. Alcuni sono parte di quelle generazioni che non hanno vissuto la massima espansione commerciale del genere: viene naturale pensare che Ethan Hawke possa sentirsi un po’ Paul Newman e un po’ Kris Kristofferson in The Kid (2019), o che Michael Fassbender e Mads Mikkelsen si siano divertiti a far rivivere i cavalieri solitari eastwoodiani in Slow West (2015) e Salvation (2014), o, ancora, è facile pensare che Woody Harrelson avrebbe lavorato gratis per interpretare Il duello (ve lo abbiamo raccontato qui). Altri invece sono della vecchia guardia, come Demi Moore e Donald Sutherland (che si è portato dietro anche il figlio per Il fuoco della giustizia), oppure Robert Duvall, padre di James Franco in Wild Horses (di cui il vecchio Rob è anche regista).

Con nomi di questa portata, è chiaro che buona parte del budget si volatilizza ancora prima di iniziare a girare, dunque spesso il risparmio viene recuperato dalle scenografie, con cui i tradizionali luoghi del vecchio west (il saloon, la prigione etc) sono richiamati in maniera geometrica, quasi stilizzata, minimale anche nei costumi e scarna di comparse. E se da un lato questo allontana tali piccole produzioni dai grandi fasti del cinema western classico, o dalla complessità di scena dei suoi successori, dall’altro le costringe a concentrarsi sulla pulizia delle sceneggiature e sulla necessità di trattare un contenuto alla volta, e in modo chiaro. E quali sono questi temi, allora? Cosa interessa alle nuove avanguardie del cinema western?

Il più interessante elemento di questo nuovo filone è il nuovo ruolo che viene assegnato all’irrazionale. E’ vero che nel cinema western l’elemento dionisiaco è sempre stato caratteristica propria del cattivo, ma se una volta gli aspetti mistico-religiosi erano relegati alla supposta inciviltà del mondo indiano (pensiamo alla tortura corredata di danze pagane inflitta a Gary Cooper in La conquista del west, o al modo in cui questo elemento permane in forma splatter nel già cult Bone Tomahawk), ora vediamo agire queste forze paranormali anche nel mondo dei coloni bianchi. E questo non solo per mezzo di furfanti o malintenzionati (come avveniva già in La morte corre sul fiume), ma all’interno e al vertice delle stesse istituzioni, come è il caso de Il duello o di Brimstone.

Anche l’elemento femminile viene rivalutato: il mondo del cinema west sembra aver sempre data per scontata l’inferiorità della donna, ma ora questa condizione viene denunciata, o per lo meno problematizzata. In alcuni film ci si limita a sottolineare quanto esse siano le vittime principali di un mondo fondato su valori maschilisti e sul sostanziale possesso della donna da parte dell’uomo-alfa di turno, cosa che non avviene solo nei due film da poco citati, ma anche ad esempio con l’Eva Green di Salvation. Per altri, come nel caso di The Homesman (2014) di Tommy Lee Jones -anch’esso inspiegabilmente uscito direttamente in home video- possiamo parlare di vero e proprio prototipo di western femminista.

Altro filone, meno importante ma diffuso, e che ancora una volta segnala l’estrema adattabilità di un genere troppo spesso considerato unidimensionale, è rappresentato da quei film di pura azione che scelgono i west come loro ambientazione. Anche qui cast importanti (anche se a vote di nicchia) e temi chiave come la vendetta, il duello e una competizione quasi sportiva per la vita e la morte in film come Dead in Stombone (2013) con protagonista il caratterista Danny Trejo, oppure Gallowwalkers (2012) con Wesley Snipes, o Sweetwater (2013) di Logan Miller (con Ed Harris e January Jones).

Infine, assolutamente da segnalare, le prospettive del western fantascientifico, con due film destinati a fare scuola, per lo meno nell’interpretazione del genere. Da un lato quel matto di Jon Favreau prova a mette insieme un cast di altrettanti matti (Daniel Craig, Olivia Wilde, Harrison Ford e Sam Rockwell) nel suo Cowboy & Aliens (2011) il cui titolo dice tutto sul tipo di commistione che il regista-attore prova a fare (con discreto successo); dall’altro invece abbiamo Prospect (con Pedro Pascal, lo trovate su CHILI qui) che preferisce ambientare il discorso west nello spazio (portando un padre e un figlio su una luna aliena), tentando esplicitamente di collegare passato, presente e futuro, nell’ottica di una continuità centrata sulla natura dell’uomo.
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